24.3.07

... Infatti, la prossima settimana

La prossima settimana non potrò esserci lunedì, e non so ancora in quale giorno riuscirò a fare il ricevimento: quindi, vi consiglio di contattarmi, prima.

Etichette:

10.3.07

Problemi con il ricevimento...

Il ricevimento di lunedì 12 marzo non ci sarà, e probabilmente salterà per tutta la settimana. Per qualsiasi comunicazione o emergenza potete sempre far ricorso alla posta elettronica. Se non ci saranno altri intoppi, la settimana successiva (lunedì 19 marzo) riceverò regolarmente.

Etichette:

3.3.07

Università, l'allarme di Mussi: "E' una mattanza"

A Bologna presentata la ricerca di AlmaLaurea sui studio e occupazione
Università, pochi laureati e poco lavoro
Il ministro: "Le imprese cercano analfabeti". Prodi: "Scissione tra domanda e offerta"
Damiano: "Non vogliamo abrogare la legge Biagi ma solo modificarla"



BOLOGNA - "E' la mattanza dei laureati". A Bologna per una tavola rotonda su università e mondo del lavoro il ministro Fabio Mussi non usa mezzi termini per commentare i numeri di una ricerca di Almalaurea sui livelli occupazionali dei laureati in Italia e in Europa. "Il paese si deve dare una mossa serve una scossa o altrimenti l'Italia non si riprenderà mai stabilmente". Parole che confermano cifre davvero allarmanti. "Abbiamo 12,5 laureati su 100, nella fascia tra i 24 e i 35 anni: la metà della media europea".

Stesso deficit anche per quanto riguarda gli universitari "che sono 1,8 milioni di studenti rappresentano meno della media europea", mentre crescono i "fuori corso" con "21,5 studenti persi tra il primo e il secondo anno di università". Le colpe di un sistema che arranca? Secondo Mussi vanno cercate nella bassa composizione intellettuale del mercato del lavoro: "Le imprese cercano analfabeti". Del resto le statistiche confermano "la bassa propensione ad investire in ricerca e sviluppo". "Fa spavento il 2,3% di investimenti italiani sul valore aggiunto, cioè sulla ricchezza nuova prodotta - spiega Mussi - Mentre la media europea è del 5,5, la Germania è al 7,5, gli Stati Uniti all'8,7 e il Giappone al 9,6".

Prodi: "Scissione tra domanda e offerta". "L'analisi di Mussi trova sponda nelle parole di Romano Prodi, anche lui presente al convegno bolognese. "Vedo un problema enorme di mancanza di incontro tra domanda e offerta, flessibilità e adattamento - dice il premier -. Non è consolante vedere la scissione tra il tipo di preparazione e il mercato del lavoro che è un fenomeno generale in Europa e non solo in Italia". Prodi torna poi ad insistere sull'importanza dello sviluppo delle scuole tecniche per un paese manifatturiero come l'Italia: "Serve una legge e una rete nazionale".

Damiano: "Modificheremo la Biagi". "Le forme di lavoro estremamente precarie prodotte dalla legge 30 a mio avviso possono essere cancellate, come del resto abbiamo scritto nel programma dell'Unione. Penso ad esempio al lavoro a chiamata". Il ministro del Lavoro Cesare Damiano conferma così quello che è uno dei punti su cui il governo si è impegnato ad agire. Il punto di partenza è circoscrivere la precarità: "C'è da correggere il tempo determinato, non possiamo consentire una ripetizione all'infinito dell'utilizzo di lavoro a termine e poi c'è il problema del part-time".

(Repubblica.it, 3 marzo 2007)

Etichette:

Mussi e il tunnel della ricerca

Il ministro Confronto con i rettori al convegno degli ambientalisti socialisti

Guglielmo Ragozzino

Torino
Il convegno degli ambientalisti-socialisti si svolge a Torino nella sala Kyoto dell'Environment Park (Parco tecnologico per l'ambiente). La sala è dedicata al grande ecologo Nicholas Georgesku Roegen. L'area è dell'antica Fiat. Qualcuno ricorda l'esondazione della Dora che scorreva sotto le Ferriere (l'acqua serviva per il raffreddamento industriale). La città rischiò grosso. Fu nel 2000 e la struttura abbandonata delle Ferriere resistette ma si decise di demolire tutto. Così nacque il parco tecnologico, dovuto agli sforzi comuni di comune e regione e ai finanziamenti europei. I centri di ricerca sono di apparenza modesta e funzionano. Due ragazzi in camice bianco offrono un motorino come tanti altri; però è a idrogeno. Il primo prototipo, assicurano: si tratta di un motorino spagnolo, Monty e 80, costruito interamente in Cina, cui hanno sostituito l'apparato motore con due bombole di idrogeno, un sistema di celle, una batteria. Il vano previsto per il casco è tutto riempito da grosse schede elettroniche che rendono agibile il sistema. L'ingegnerizzazione è ancora carente, dicono. Velocità massima 25 km orari, autonomia di 5 ore.
L'atteso clou del convegno è l'intervento di Fabio Mussi, ministro dell'Università e della Ricerca. Mussi è però strappato ai compagni ecologisti e socialisti da un'altra esondazione: quella dei magnifici rettori che vogliono confrontarsi con lui. Così avviene il fatale incontro. Mussi esordisce: «In Italia ci sono 365 sedi universitarie contro 105 province. Non abbiamo esagerato?». E racconta del capo gabinetto che, tutte le sere, arriva con centinaia di fascicoli da firmare. Spesso si tratta solo di spostare un bidello ... Ma la firma è indispensabile. Poi parla delle cifre per la ricerca: non sono così terribili, spiega, sono solo ottuse: non tengono conto soprattutto della qualità, notevole, dei ricercatori italiani. Poi inserisce due temi interessanti: dottori di ricerca e valutazioni. Quello dei dottori di ricerca - afferma - è un titolo importante nel mondo, nelle società e nelle amministrazioni pubbliche. «Anche qui da noi bisogna aprire le uscite per i dottori di ricerca» ma non è un titolo da spendere dentro l'Università, come si è fatto qui sempre. Una legge in proposito esiste, ma manca, come al solito, il decreto attuativo. Sarà mia cura, conclude il ministro, affrontarlo subito e cambiare le cose. Poi vi è la delicata questione dell'Anvur, il comitato preposto alle valutazioni. Quando sono arrivato - aggiunge il ministro - l'Anvur, nominato da Moratti, ha presentato le dimissioni; ma si trattava di buoni elementi e così ho detto al prof. Provasoli, il presidente, di continuare «per me che sono uomo di partito, essere di un partito non è un titolo scientifico, mai».
Per primo parla in replica Francesco Profumo del Politecnico, informa il ministro che il Poli ormai fa da sé, in rete con Losanna, Ginevra, Grenoble, Barcellona. Gli studenti sono 26mila; la ricerca è sostenuta dallo stato solo per il 42%, mentre «il resto lo troviamo noi». Poi parla Ezio Pelizzetti dell'Università di Torino. Informa che i suoi studenti sono 74mila, quasi quanti operai aveva la Fiat un tempo a Torino. Chiede la defiscalizzazione dell'Irap «almeno quella» ripete. Terzo, tra cotanto senno, Paolo Garbarino, rettore dell'Università del Piemonte orientale. «Possiamo - chiede - forzare un po' i limiti regionali e fare corpo con gli atenei lombardi e liguri?». Mussi replica ma il consenso è diffuso. Per buon peso il ministro racconta del Cipe, dove è entrato un po' di straforo. Lì i soldi ci sono, solo che «loro» credono che le infrastrutture siano solo ponti e strade ferrate; invece ho lanciato l'idea che anche i luoghi di eccellenza scientifica, i laboratori di alta fisica e di genetica, le grandi biblioteche sono infrastrutture decisive, non meno dei tunnel. Staremo a vedere».

(il manifesto, 2 Marzo 2007)

Etichette:

2.3.07

Radiografia dell'Università nei suoi punti critici

Dalle lotte studentesche al rapporto tra atenei e mercato del lavoro: per le edizioni Alegre, «Studiare con lentezza», un volume scritto a più mani

Anna Carola Freschi

Dedicato a una lettura delle proteste studentesche che si sono svolte durante l'anno 2005, e articolato in almeno quattro passaggi cruciali, il libro titolato Studiare con lentezza (scritto da Aringoli, Calella, Corradi, Giardullo, Gori, Montefusco, Montella) per le edizioni Alegre, porta nutrimento al dibattito sulle trasformazioni del rapporto fra precarietà e sapere nel capitalismo odierno. Il primo dei passaggi affrontati può essere sintetizzato in chiave simbolico-linguistica: una ricostruzione della vicenda dei movimenti studenteschi che privilegi gli elementi di continuità, evidenzia, infatti, come alle esigenze di un capitalismo in trasformazione abbia corrisposto, nel corso degli anni '90, l'autentico stravolgimento di alcune parole d'ordine: autonomia, anti-statalismo, flessibilità, a esemplificare quel rovesciamento di significato tipico della retorica neoliberista, che si è attuato a cominciare dall'uso della stessa parola libertà. Sono infatti la subordinazione della ricerca al mercato, la frantumazione dei saperi, la precarizzazione della vita e del lavoro di studenti e ricercatori, i frutti più avvelenati della traduzione aziendalistica di quegli imperativi applicati a una università impastata di residui feudali, nel governo delle carriere, dell'offerta didattica, dello sviluppo della ricerca.
In questo scenario simbolico e pratico prende forma la figura dello studente come precario in formazione, preparato a inserirsi nel mercato flessibile non in base alle competenze acquisite, bensì in virtù del training cognitivo e comportamentale azionato dal potente dispositivo della didattica «veloce». Si impara il ritmo, l'essere misurati e misurare, l'acquisire ciò che è appena sufficiente: la riduzione del sapere in quantità discrete agisce su studenti, docenti, ricercatori, limitando i loro percorsi, livellando i tempi, ponendo l'accento sul momento della verifica piuttosto che sul processo di apprendimento. Funzioni cruciali nel nuovo capitalismo, l'apprendere e l'insegnare sono posti, attraverso il meccanismo dei crediti, sotto l'ombrello disciplinare della calcolabilità e della standardizzazione, pronti ad essere automatizzati. Così, forma e contenuto, processo e prodotto arrivano a coincedere. Gli autori, inoltre, mostrano come la frantumazione del processo di apprendimento conduca anche alla frammentazione del soggetto studentesco: «non c'è un generico intellettuale massa. Non c'è un'indistinta moltitudine. La precarietà si traduce in una pluralità di soggetti sociali sfruttati». In più, guardando alla diffusione e alla dispersione sociale dei precari, è evidente che questi fenomeni non possono essere letti come capaci «di produrre spontaneamente conflitto e trasformazione sociale». Non ci sono avanguardie su questo fronte dei precari, non ci sono maestri, ma solo una capacità di «riflessione concreta» da coltivare collettivamente: vanno ricostruiti, perciò, tempi e spazi adeguati a un apprendimento critico, a un rapporto nuovo fra il dentro e il fuori dalle università, che oggi non trova nessuna soluzione di continuità semplicemente perché il mercato è dappertutto e il resto sistematicamente cancellato, sebbene continuamente riemerga, in una pluralità di reazioni impreviste. Nonostante questa incombente presenza del mercato, infatti, la razionalità aziendale assume, nell'università, i connotati di una burocratizzazione senza precedenti, e paradossalmente anche priva di certezze.
Non solo, ma il successo della domanda di lauree specialistiche sembra essere risuonato alle orecchie dei soliti riformatori come un allarme, piuttosto che come un segnale positivo, a fronte del problema relativo allo sfoltimento dell'offerta di lavoro qualificato. In questo quadro, i richiami alla meritocrazia diventano via via sempre più sinistri, e d'altronde - sottolineano gli autori - le riforme non hanno affatto messo in discussione il finanziamento pubblico dell'Università. Ne hanno favorito, piuttosto, «l'uso privato» immediatamente funzionale a un orizzonte in cui è sempre più ridotta tanto l'autonomia dei saperi quanto l'obiettivo di estendere a tutti le opportunità di emancipazione sociale.

(il manifesto, 1 Marzo 2007)

Etichette:

Prossimo ricevimento anticipato a lunedì

Il prossimo ricevimento sarà di nuovo anticipato a lunedì, dalle 14 alle 15. In generale, il ricevimento sarà purtroppo un po' precario per tutto il mese di MARZO, quindi vi consiglio di contattarmi via e-mail e di controllare questo blog per essere informati sulle mie disponibilità.

Etichette:

Laureati, colti e disperati: è l'esercito dei senza lavoro

di FEDERICO PACE

Solo la metà trova impiego a un anno dalla laurea. E' il peggior risultato dal 1999 a oggi
Nel 2006 hanno guadagnato, in termini reali, meno di 5 anni fa. L'indagine di AlmaLaurea



Iperqualificati, con qualche sogno in testa e sempre meno pagati. Destinati a emigrare, pur di evitare la disfatta. I laureati mostrano sul loro volto i segni delle sempre più acute contraddizioni di un intero paese dove il merito e le qualifiche non vanno quasi mai di pari passo con le opportunità e i compensi. Sul loro volto sono sempre più evidenti i segni del disagio provato di fronte a quella porta, quasi sempre socchiusa, che dovrebbe portarli al lavoro e alla maturità.

Quando una ragazza o un ragazzo con in tasca la laurea cerca un posto, pare di vedere un gigante che prova ad entrare attraverso la piccola porticina di una minuscola casa di lillipuziani. Loro sono tanti mentre sembrano sempre più inadeguati i posti di lavoro che il sistema economico e il mondo delle aziende italiane mette a disposizione. Addetti per i call center o cassieri di negozio che siano. Con il paradosso, che a questo punto pare quasi logico, che sono proprio i più preparati, quelli che prendono i voti più alti di tutti a ritrovarsi con il più basso tasso di occupazione. Tanto che a un anno dalla laurea, trovano lavoro solo quattro su dieci di quelli che hanno preso 110 e lode. Con la triste constatazione che nel 2006 un laureato guadagna al mese, in termini reali, meno di quanto percepiva cinque anni fa il fratello maggiore.

Fenomeni conosciuti si dirà, ma il fatto è che quest'anno le cose sono andate ancora peggio. Tanto che per trovare un impiego non è neppure sufficiente aspettare un anno. I dati del triste record dicono che dopo la fatidica laurea, a un anno dal giorno della discussione della tesi, dai festeggiamenti e dai sorrisi e dalle congratulazioni, trova lavoro solo il 45 per cento dei laureati "triennali" (erano il 52 per cento l'anno scorso) e il 52,4 per cento dei laureati pre-riforma, ovvero il dato più basso dal 1999 (vedi tabella). I dati sono quelli della nona indagine sulla "Condizione Occupazionale dei laureati italiani" presentata (vedi la diretta) a Bologna da AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario a cui aderiscono 49 università italiane. Ed è forse utile sapere che il convegno prevede per la mattina di sabato (3 marzo) anche una tavola rotonda (la presentazione e la tavola rotonda possono essere seguite in diretta sul sito di Almalaurea) che dibatterà su questi temi e a cui parteciperanno anche Fabio Mussi, il ministro dell'Università, e Cesare Damiano, il ministro del Lavoro, insieme ad Andrea Cammelli, il direttore di Almalaurea, e il presidente Crui Guido Trombetti.

Secondo l'indagine, l'instabilità che caratterizzava già molti degli impieghi degli anni scorsi si è fatta ancora più acuta. Sia per i laureati "triennali" che per quegli ultimi che stanno uscendo dal percorso previsto dal vecchio ordinamento. Solo un giovane su tre che ha conseguito una laurea breve - e ha trovato un impiego - è riuscito a siglare un contratto a tempo indeterminato. L'anno scorso l'impresa era riuscita al 40 per cento di loro. Stessa storia per i giovani che hanno ultimato il percorso di laurea del "vecchio ordinamento", la quota di chi è riuscito ad avere un contratto stabile è scesa al 38,4 per cento. Il lavoro atipico dal 2001 a oggi è cresciuto di ben dieci punti percentuali.

C'è poi lo stipendio. Quel sostegno che dovrebbe permettere alle nuove generazioni di prendere iniziative e decisioni, di mettere su famiglia, di provare a superare la sindrome di Peter Pan. Quel sostegno, è sempre più esile. I giovani laureati del post-riforma si ritrovano in tasca a fine mese solo 969 euro. Meno di quanto non fosse l'anno scorso (vedi tabella). Prendono qualcosa in più i laureati pre-riforma che a fine mese arrivano fino a 1.042 euro. Poco più dell'anno scorso ma, al netto del costo della vita, ancora meno di quanto un neolaureato guadagnava cinque anni fa.

Senza dire che l'Italia vanta il minor numero di laureati che lavora a cinque anni dalla laurea (l'86,4 per cento contro una media europea pari all'89 per cento). Scorrendo i dati dell'indagine di AlmaLaurea si ricava la triste conferma che nel cuore delle nuove generazioni, anche lì dove è opportuno che l'Italia sia più moderna e vicina all'Europa, covano e crescono le stesse antiche contraddizioni e disparità che gravano da tempo infinito sul corpo del malato Italia.

Le donne sono meno favorite rispetto agli uomini, hanno un tasso di occupazione più basso, sono più precarie e guadagnano meno dei loro colleghi uomini (vedi tabella). A un anno dalla laurea lavora il 49,2 per cento delle laureate pre-riforma contro il 57,1 per cento degli uomini. E il gap salariale nel tempo non fa che crescere, tanto che a cinque anni dalla laurea le donne guadagnano un terzo meno di quanto non prendono gli uomini. Quanto alla precarietà a un anno dalla laurea il 52 per cento delle donne ha un contratto atipico contro il 41,5 per cento degli uomini. E la disparità è ancora più acuta per le laureate "triennali", visto che solo il 34 per cento delle donne ha un impiego stabile contro il 48 per cento dei loro colleghi uomini.

Stesso discorso per le disparità territoriali. Nel 2006 sei laureati del Nord su dieci trova lavoro dopo un anno mentre per le regioni del Sud le cifre si fermano al 40 per cento. Ovvero le stesse quote nel lontano 1999. Senza dire che a cinque anni dalla laurea, i giovani del Mezzogiorno prendono 1.167 euro al mese mentre i ragazzi del Nord arrivano a 1.355 euro al mese.

Non c'è da stupirsi se allora molti di loro non si sentono valorizzati per quello che valgono e, seppure a malincuore, decidono di muoversi oltre confine per trovare migliori occasioni. All'estero, lì dove sembrano trovare rifugio e compenso. I laureati italiani che lavorano fuori dai confini nazionali, a cinque anni dalla laurea, arrivano a guadagnare quasi 2 mila euro, ovvero il 50 per cento in più di quanto non accada alla media complessiva dei laureati. Se non si mette mano a questo problema, se non si trova un articolato piano per valorizzare i talenti che escono dalle nostre facoltà, poco si potrà fare per dare slancio al nostro paese.

(Repubblica.it, 2 marzo 2007)

Etichette:

1.3.07

Ricerca, chi decide come spartire i soldi?

Panorama.it Mercoledì 28 Febbraio 2007

Hanno preso carta e penna per esprimere tutta la loro rabbia e preoccupazione. Più di 150 personalità del mondo accademico, alcune molto note (come l’astrofisica Margherita Hack), hanno sottoscritto la “denuncia” al ministro dell’Università e ricerca Fabio Mussi.
Sul banco degli imputati ci sono le valutazioni dei “Prin 2006″, i progetti per assegnare i finanziamenti pubblici alla ricerca di base. Una torta sempre più piccola che quest’anno era di 82 milioni di euro da spartire fra ben 14 aree.
Docenti e ricercatori mettono in dubbio la credibilità delle commissioni che hanno esaminato i progetti e assegnato i soldi. “Da due anni assistiamo a una degenerazione del sistema” sintetizza Patrizio Dimitri, professore di genetica all’Università La Sapienza di Roma. “Il punto più critico della valutazione delle proposte riguarda le competenze di chi le valuta: spesso si tratta di esperti senza competenze specifiche sulla tematica”. Almeno quattro i motivi dell’accusa.
Primo: i giudizi dati dagli esaminatori risultano “generici e telegrafici”. Quando il progetto è stato bocciato o promosso ma non ammesso al finanziamento (situazione in cui finisce più della metà di quelli giudicati positivi) non è stata fornita alcuna spiegazione.
E nessuna analisi che potesse eventualmente aiutare gli esclusi a migliorare quanto presentato. Secondo: i valutatori stranieri sono quasi del tutto scomparsi dalle commissioni.
Mentre, a giudizio dei firmatari, proprio i revisori internazionali garantivano maggiore imparzialità. Terzo: le competenze dei valutatori risultano sbilanciate verso alcuni settori.
È il caso lamentato per scienze biologiche. La commissione di quest’area risulta “dirottata” su un numero limitato di settori: sette degli 11 valutatori erano esperti di biochimica, fisiologia e farmacologia. Il netto squilibrio ha pesato sulle valutazioni: su 96 progetti finanziati solo cinque sono di genetica.
Quarta e ultima accusa: il conflitto di interesse. “Dai dati in nostro possesso” si legge in una delle due lettere inviate al ministro “emerge che alcuni valutatori collaborano o hanno collaborato con i coordinatori di progetti finanziati. Ci sono casi eclatanti di sovrapposizione anche elevata fra la produzione scientifica di alcuni valutatori e quella dei responsabili di progetti finanziati”. E non è tutto. “Oggi, per carenza di fondi, dobbiamo rinviare l’acquisto di nuove strumentazioni” spiega Francesca Matteucci, ordinaria di astrofisica all’Università di Trieste.
“Il paradosso è che ora, per via dei progetti non finanziati, non potremo usare neppure quelle per le quali abbiamo già speso milioni di euro: come il telescopio nazionale Galileo, sull’isola di La Palma alle Canarie”.

Etichette: