2.3.07

Radiografia dell'Università nei suoi punti critici

Dalle lotte studentesche al rapporto tra atenei e mercato del lavoro: per le edizioni Alegre, «Studiare con lentezza», un volume scritto a più mani

Anna Carola Freschi

Dedicato a una lettura delle proteste studentesche che si sono svolte durante l'anno 2005, e articolato in almeno quattro passaggi cruciali, il libro titolato Studiare con lentezza (scritto da Aringoli, Calella, Corradi, Giardullo, Gori, Montefusco, Montella) per le edizioni Alegre, porta nutrimento al dibattito sulle trasformazioni del rapporto fra precarietà e sapere nel capitalismo odierno. Il primo dei passaggi affrontati può essere sintetizzato in chiave simbolico-linguistica: una ricostruzione della vicenda dei movimenti studenteschi che privilegi gli elementi di continuità, evidenzia, infatti, come alle esigenze di un capitalismo in trasformazione abbia corrisposto, nel corso degli anni '90, l'autentico stravolgimento di alcune parole d'ordine: autonomia, anti-statalismo, flessibilità, a esemplificare quel rovesciamento di significato tipico della retorica neoliberista, che si è attuato a cominciare dall'uso della stessa parola libertà. Sono infatti la subordinazione della ricerca al mercato, la frantumazione dei saperi, la precarizzazione della vita e del lavoro di studenti e ricercatori, i frutti più avvelenati della traduzione aziendalistica di quegli imperativi applicati a una università impastata di residui feudali, nel governo delle carriere, dell'offerta didattica, dello sviluppo della ricerca.
In questo scenario simbolico e pratico prende forma la figura dello studente come precario in formazione, preparato a inserirsi nel mercato flessibile non in base alle competenze acquisite, bensì in virtù del training cognitivo e comportamentale azionato dal potente dispositivo della didattica «veloce». Si impara il ritmo, l'essere misurati e misurare, l'acquisire ciò che è appena sufficiente: la riduzione del sapere in quantità discrete agisce su studenti, docenti, ricercatori, limitando i loro percorsi, livellando i tempi, ponendo l'accento sul momento della verifica piuttosto che sul processo di apprendimento. Funzioni cruciali nel nuovo capitalismo, l'apprendere e l'insegnare sono posti, attraverso il meccanismo dei crediti, sotto l'ombrello disciplinare della calcolabilità e della standardizzazione, pronti ad essere automatizzati. Così, forma e contenuto, processo e prodotto arrivano a coincedere. Gli autori, inoltre, mostrano come la frantumazione del processo di apprendimento conduca anche alla frammentazione del soggetto studentesco: «non c'è un generico intellettuale massa. Non c'è un'indistinta moltitudine. La precarietà si traduce in una pluralità di soggetti sociali sfruttati». In più, guardando alla diffusione e alla dispersione sociale dei precari, è evidente che questi fenomeni non possono essere letti come capaci «di produrre spontaneamente conflitto e trasformazione sociale». Non ci sono avanguardie su questo fronte dei precari, non ci sono maestri, ma solo una capacità di «riflessione concreta» da coltivare collettivamente: vanno ricostruiti, perciò, tempi e spazi adeguati a un apprendimento critico, a un rapporto nuovo fra il dentro e il fuori dalle università, che oggi non trova nessuna soluzione di continuità semplicemente perché il mercato è dappertutto e il resto sistematicamente cancellato, sebbene continuamente riemerga, in una pluralità di reazioni impreviste. Nonostante questa incombente presenza del mercato, infatti, la razionalità aziendale assume, nell'università, i connotati di una burocratizzazione senza precedenti, e paradossalmente anche priva di certezze.
Non solo, ma il successo della domanda di lauree specialistiche sembra essere risuonato alle orecchie dei soliti riformatori come un allarme, piuttosto che come un segnale positivo, a fronte del problema relativo allo sfoltimento dell'offerta di lavoro qualificato. In questo quadro, i richiami alla meritocrazia diventano via via sempre più sinistri, e d'altronde - sottolineano gli autori - le riforme non hanno affatto messo in discussione il finanziamento pubblico dell'Università. Ne hanno favorito, piuttosto, «l'uso privato» immediatamente funzionale a un orizzonte in cui è sempre più ridotta tanto l'autonomia dei saperi quanto l'obiettivo di estendere a tutti le opportunità di emancipazione sociale.

(il manifesto, 1 Marzo 2007)

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