... e quindi uscimmo a riveder le stellei primi passi del governo su ricerca e universita'relazione di Walter Tocci al Forum dei DS - Roma 12-6-2006
Fabio Mussi ha avuto un inizio entusiasmante e siamo qui per domandarci come possiamo aiutarlo a mantenere tale ritmo.
L'Italia e' tornata in Europa. E' finita l'autarchia. Non guarderemo piu' con diffidenza il Consiglio Europeo delle Ricerche, ma lavoreremo per il suo decollo. Siamo tornati nell'alveo naturale, non a caso fu un grande italiano, Antonio Ruberti, a parlare per primo di spazio europeo della ricerca.
In tutti i grandi progetti europei torneremo a svolgere un ruolo positivo. Ci tocca la prossima presidenza di Eureka e possiamo farne l'occasione per presentare la nuova Italia.
Molte opportunita' si aprono nel settore spaziale con ampie ricadute in diversi campi: la missione Aurora per l'esplorazione dell'universo, l'osservazione della Terra e il nuovo sistema di comunicazioni Galileo.
L'industria spaziale italiana e' stata svenduta al governo francese che ora la controlla tramite Thales. Si puo' uscire solo in avanti da questa sudditanza, favorendo la nascita di un grande raggruppamento, una sorta di Airbus per lo spazio. E' meglio essere minoranza in un gruppo europeo piuttosto che in un'azienda solo francese.
Si dovra' rilanciare la politica delle infrastrutture di ricerca, dai sincrotroni alle biblioteche digitali, alle reti di calcolo. Una buona infrastruttura, infatti, premia i migliori ricercatori e favorisce gli scambi internazionali.
Proporremo agli altri paesi di integrare sempre meglio gli enti di ricerca: non puo' che fare bene ai nostri CNR e ENEA gestire programmi comuni con il Max Planck e il Fraunhofer, il CNRS francese e la nuova agenzia di Beffa ecc..
C'e' insomma l'esigenza di una forte politica estera per la ricerca. Si difende meglio l'interesse nazionale quanto piu' e' forte il peso italiano nelle scelte europee.
Dobbiamo pero' preparare le strutture nazionali alle sfide nuove.
Bisogna unire le forze, mettere in rete le cose migliori che abbiamo, superare gli assurdi steccati tra enti di ricerca e universita'. Questo e' il motivo del successo della fisica, prima con Infn e poi con Infm, il quale anche per questo va immediatamente ricostituito.
Sono molte le cose da fare. Essere partiti bene ci aiuta. Tuttavia, l'entusiasmo dell'inizio si scontra con la pesante eredita'. Per ricostruire ci sara' bisogno di risorse e i margini si devono trovare. Berlusconi per abbassare le tasse ai ricchi ha speso 6 miliardi, cioe' quanto si spende per la ricerca pubblica in un solo anno. Se da quello sperpero recupereremo un miliardo l'anno, alla fine della legislatura avremo quasi raddoppiato l'investimento e raggiunto l'obiettivo di Lisbona.
Ma non possiamo aspettare la prossima finanziaria; nel frattempo dobbiamo agire sulla spesa esistente. Non e' facile, ma si puo' fare, a mio avviso.
Cominciamo col dare buone notizie agli studenti lanciando un grande programma per le residenze universitarie per consentire ai giovani meno abbienti di scegliere l'ateneo anche lontano dalla propria citta'. I soldi ci sono, circa 200 milioni di euro, li stanzio' il governo Amato e in cinque anni non sono stati capaci di spenderli tutti.
Ci sono anche i soldi non impegnati per le borse di studio; con un'integrazione saremo in grado di raggiungere l'obiettivo storico di dare una risposta a tutti gli aventi diritto. Anzi, diciamolo meglio alla vigilia del referendum: vogliamo attuare l'art. 34 della bella Costituzione repubblicana: "i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi piu' alti degli studi".
E poi che ne facciamo delle clientele morattiane? Mussi ha dato un segnale chiaro con la revoca dell'universita' di Reggio Calabria e lo stop alle lauree privilegiate. Ma ce ne sono tante altre: il S. Pio V, l'universita' di Pera, la prebenda per l'ex rettore di Pavia, il finanziamento incredibile ad un dipartimento di Caserta, le commissioni dei bandi di ricerca che hanno distribuito i fondi ai propri membri, ecc. La regola del ministero era molto semplice: chi sostiene il governo ottiene un premio. Ma gli elettori non hanno premiato la regola.
Sarebbe faticoso e inutile mettersi a discutere caso per caso. Dobbiamo inventarci una sorta di moratoria delle malefatte. Quel demonio di Tremonti escogito' il taglia spese e non dobbiamo buttare via tutto cio' che hanno fatto loro; potremmo usare una norma simile per sospendere l'erogazione dei finanziamenti ad personam fino a quando non verranno sottoposti alla valutazione del CIVR.
E non si tratta di piccole somme. Sono costosi i sedicenti centri di eccellenza, che di eccellente hanno avuto la capacita' di evitare qualsiasi bando o valutazione. Nell'ultima finanziaria hanno istituito ben due agenzie con tanti soldi e nessun programma chiaro di ricerca. E poi c'e' l'IIT che ha distribuito fondi in modo discrezionale, senza le normali procedure competitive che si usano a livello internazionale per finanziarie la ricerca. E pensare che doveva essere il Mit italiano. Purtroppo e' molto italiano e poco Mit. Riguardo ai suoi contenuti, quasi un miliardo di euro in dieci anni sono destinati alla robotica umanoide, settore certo importante, ma forse e' spropositato spendervi la stessa somma assegnata all'intera ricerca fondamentale dei bandi Firb e Prin. Sono risorse che, almeno in parte, vanno restituite ai migliori laboratori italiani mediante bandi pubblici.
C'e' poi la norma che ha detassato i brevetti. Quell'intelligentone di Scajola non sapeva che a pagare gran parte del tributo non sono le piccole imprese, ma le multinazionali, le quali risparmiano in tal modo decine di milioni di euro e fanno pagare tante licenze alle imprese italiane. e' un formidabile incentivo statale per le imprese straniere, infatti nessun altro governo al mondo ha avuto un'idea tanto autolesionista. Si deve ripristinare immediatamente il tributo.
Infine, ci sono centinaia di milioni non spesi dall'Asi. Ci sono i capitoli particolari del Fondo per l'universita' che vengono gestiti senza bandi, dai consorzi universitari alle scuole di dottorato.
In queste pieghe di bilancio si possono trovare i soldi per fare la cosa piu' importante: riaprire ai giovani le porte della ricerca e dell'universita'. Rispetteremo l'impegno di un programma straordinario di assunzioni di giovani ricercatori e professori, scelti sulla base dei meriti. E dovranno costare molto meno le assunzioni nelle universita', negli enti e nelle imprese, introducendo una forte selettivita' nella riduzione del cuneo fiscale.
Dobbiamo spiantare le malefatte come la gramigna. La soluzione strutturale e' la valutazione. Questa e' la vera svolta. Abbiamo proposto una struttura qualificata e indipendente che se ne occupi. Non ci perdiamo nella querelle nominalistica se debba essere agenzia o autorita', gia' vedo un dibattito di anni su tale problema. Chiamiamola pure Genoveffa purche' sia davvero libera e non condizionabile, ne' dai professori universitari, ne' dalla burocrazia ministeriale. Se infatti il gioco si fa duro, fino al punto di legare la valutazione e l'erogazione di una quota dei finanziamenti, allora l'arbitro deve essere credibile e autorevole. Sappiamo quanto sia ostica la questione arbitri per noi italiani, il famoso De Santis non a caso dipendeva dalla Figc, cioe' dalle squadre che doveva valutare.
Ci sono ottime universita' e centri di ricerca nel Mezzogiorno, ma non c'e' dubbio che, operando in un contesto molto difficile, potrebbero essere penalizzate in un confronto veramente competitivo. Si rischia di amplificare l'esodo gia' in atto dei giovani piu' brillanti, sarebbe un colpo mortale per il futuro di quelle regioni.
Cio' non deve pero' portarci a negare la valutazione o peggio ancora a piegarne le regole per ottenere le compensazioni, minandone cosi' la credibilita'. Occorre una soluzione trasparente che distingua due canali di finanziamento: da un lato le risorse assegnate secondo un confronto competitivo senza rete e dall'altro un fondo mirato allo sviluppo del sistema ricerca e universita' del Mezzogiorno, senza assistenzialismi e con serie verifiche dei risultati, ma anche come grande occasione per compiere nell'epoca della conoscenza quel salto della rana che il Sud non ha potuto realizzare nella fase industriale.
Si puo' fare qualcosa gia' prima della legge. Il metodo Civr si e' rivelato buono e con alcune messe a punto puo' essere esteso da subito agli anni successivi, al triennio 2004-6 e poi dal 2007 per ogni annualita'. L'animo umano e' lento a cambiare i comportamenti, ma se l'annuncio e' forte e chiaro si possono ottenere immediati effetti positivi. Basta proclamare solennemente e formalizzare in atti pubblici che quote rilevanti dei fondi per tutta la legislatura saranno determinate dai risultati prima del CIVR e poi dell'autorita' o agenzia. L'annuncio rimbombera' in qualche riunione di dipartimento dove si discute del portaborse del professore. Il pericolo serio di perdere risorse introdurra' un principio di responsabilita', aprira' un conflitto interno tra innovatori e conservatori, impedira' quella mediazione a ribasso che spesso condiziona la vita accademica.
Per essere ancora piu' credibili nella valutazione bisognera' rimuovere la casta dei mandarini della ricerca che da decenni organizzano le cordate, distribuiscono le prebende, trasformano miracolosamente i propri insuccessi in avanzamenti carriera. Chi sono?
Sono quelli che al ministero hanno nominato le commissioni Prin secondo i vecchi metodi spartitori. I mandarini sono al comando del Cnr, dove hanno sempre impedito la valutazione scientifica degli istituti, preferendo aumentare la burocrazia. C'e' voluto un articolo di Nature per far sapere al mondo quanto valgono i titoli scientifici del presidente. Analoga e' la situazione di Vetrella, la cui inadeguatezza allieta con una nota di umorismo le riunioni europee dell'Esa.
Non vogliamo ricorrere allo spoil-system, non abbiamo candidati di partito da nominare, anzi vogliamo restituire alla comunita' scientifica la liberta' di scegliere i presidenti degli enti, mediante l'elezione diretta o l'indicazione di un comitato di saggi. E questo metodo deve riguardare anche i dipartimenti del Cnr per cambiarne la natura, non piu' una struttura per portare ordini, ma una sede di coordinamento degli istituti.
Non c'e' piu' il governo che guardava in cagnesco gli scienziati. Noi abbiamo fiducia nella ricerca italiana e anzi la consideriamo la risorsa piu' preziosa del Paese. Per metterla in condizione di esprimere il suo valore ci vogliono piu' risorse e meno burocrazia. C'e' una grande stanchezza per la proliferazione legislativa dell'ultimo decennio. Non servono nuove norme, bisogna solo cancellare tante leggi inutili. Ci vuole un vero e proprio disarmo normativo negli Enti di ricerca. Non c'e' alcun bisogno di stabilire con una legge come si organizza il Cnr, l'Inaf o l'Enea. E' giunto il momento di riconoscere la piena autonomia statutaria agli enti, come gia' accade per le universita'. Questo e' il programma che al Forum di Pisa riassumemmo col le parole magiche delle lezioni calviniane: Leggerezza, per dire meno burocrazia; Esattezza, per sancire il primato della valutazione; Molteplicita', per ribadire il valore della liberta' della ricerca. A Pisa facemmo un gioco, promettendo di regalare al nuovo ministro le Lezioni americane di Italo Calvino come sintesi delle cose da fare per la ricerca. Ecco, manteniamo l'impegno e a nome di tutti voi, regalo oggi a Fabio Mussi una copia di questo capolavoro della letteratura italiana.
Per l'Enea e l'Asi ci vuole qualcosa in piu', non basta l'autonomia statutaria, il rilancio puo' avvenire solo all'interno di politiche industriali chiare e ben coordinate tra diversi ministeri. Servono strategie per sostenere la domanda di innovazione, mettere in rete i centri di ricerca, aiutare il trasferimento tecnologico, agevolare la creazione di imprese innovative, favorire i contratti di ricerca tra enti e universita' e imprese mediante la defiscalizzazione. Tali politiche industriali devono riguardare certamente i settori dell'energia, dell'aerospazio e anche quello della produzione del software, dove ancora non e' perso il treno e anzi possiamo trascinare una domanda innovativa tramite la modernizzazione dei servizi pubblici. Abbiamo una formazione eccellente, con Mussi, Nicolais e Bersani, ed e' un'occasione da non perdere per realizzare quel lavoro di squadra che non c'e' mai stato in questi settori ad alta tecnologia.
Il disarmo normativo vale anche per i concorsi universitari. Abbiamo avuto il modello di Berlinguer e poi quello della Moratti. Faremo una terza legge sui concorsi? E improbabile che riesca la sequenza: liscia, gassata, ferrarelle.
C'e' qualcuno in questa sala capace di scrivere una legge miracolosa che elimini con certezza le baronie e il clientelismo? Se c'e' si faccia avanti. Io non ci credo. Per un'intera legislatura ci siamo occupati dello stato giuridico dei docenti. Mentre discutevo in Parlamento, in un duro scontro con il governo, avevo un dubbio e non avevo il coraggio di dirlo, ma ora che la battaglia e' finita posso essere sincero con voi. Solo in un paese di Azzeccagarbugli ci si puo' appassionare per lo stato giuridico. Sono norme inutili, possiamo cancellare la legge Moratti, l'universita' vivra' meglio.
Pur con la necessaria gradualita', basta dire una cosa semplice: il professore universitario e' una figura pubblica alle dipendenze della sua universita'. Il singolo ateneo stabilisce le modalita' del lavoro, gestisce la carriera e sceglie i nuovi professori. D'altronde che senso ha l'autonomia se non puo' gestire la risorsa umana che e' anche la misura fondamentale della qualita' e del profilo scientifico.
Gli scatti di anzianita' automatici non vanno bene: sono bassi per i bravi professori che meriterebbero un monumento, ma sono certamente abbondanti per quelli che non mettono piede all'universita'. Affidiamo all'autonomia la gestione di questa massa salariale. Gli atenei saranno liberi di continuare a distribuire automaticamente gli scatti oppure di attribuirli secondo lo sviluppo di vere carriere dei professori, basate sul merito e l'impegno.
Qui e' la vera discontinuita' con la Moratti, la quale voleva aumentare l'incertezza delle figure gia' deboli, i giovani nell'accesso, mentre rafforzava le prerogative delle baronie. Da un lato giovani che fanno ricerca per poche centinaia di euro, senza alcuna prospettiva di vedere riconosciuti i propri meriti, e dall'altra professori che ottengono riconoscimenti anche quando non li meritano. Da una parte i servi della gleba della conoscenza e dall'altra i garantiti per diritto di casta. L'eccesso di incertezza e l'eccesso di garanzia nella stessa istituzione e' lacerante. Questa frattura ha bloccato il ricambio generazionale. Questa frattura mina la creativita' dei saperi, disperde la ricerca e abbassa la qualita' della didattica. Si deve fare esattamente il contrario, dare piu' certezze ai giovani di talento e maggiore flessibilita' ai professori secondo il merito e l'impegno. Cio' non si puo' fare dall'alto, con un nuovo centralismo, ecco l'altra differenza con il precedente governo, ma si deve realizzare nella direzione opposta.
In regime di autonomia la bonta' di una legge statale consiste nel lasciare libero un ateneo anche di farsi del male, purche' esistano strumenti che poi ne facciano pagare le conseguenze. Dovremmo, invece, diffidare delle leggi che promettono la virtu'; finora sono servite solo ad affinare la furbizia di chi riesce ad aggirarle.
Quando si volta pagina, pero', si devono chiudere i conti con il passato. E' giunto il momento di porre fine a quella grande ipocrisia per cui 20 mila ricercatori universitari fanno gia' i professori ma non si puo' dire. Senza di loro la didattica universitaria sarebbe gia' crollata ed e' ora che si riconosca il ruolo prezioso che stanno svolgendo.
Dobbiamo salvare la riforma della didattica ripensandola sulla base dell'esperienza. Ci vuole una sorta di libro bianco per analizzare che cosa e' successo veramente e su questo si deve svolgere una consultazione in tutti gli atenei per decidere insieme che cosa bisogna cambiare nelle norme e nei modi di attuazione.
L'universita' italiana si deve sbloccare, da tanto tempo e' chiusa in un bozzolo. Le sue migliori risorse sono tenute in scacco dai suoi peggiori difetti. Spezzare questa commistione tra vizi e virtu' e' l'unico modo per liberare le sue energie, come in una fissione nucleare.
Non e' il momento dei pannicelli caldi. Abbiamo una grande ambizione. L'universita' deve diventare la migliore istituzione di questo Paese, la forza propulsiva dell'Italia di domani, la leva per una nuova mobilita' sociale, la rete lunga della conoscenza per aprirsi al nuovo mondo, la carta non ancora giocata per uscire dal declino che e' culturale prima che economico.
Ecco la responsabilita' e l'occasione che abbiamo davanti.
Noi non siamo al governo per caso e non passeremo invano. La spinta dei ricercatori, degli studenti e degli insegnanti e' stata decisiva per battere la destra. Cio' ha determinato grandi aspettative e messo in movimento tante disponibilita' all'impegno.
Il verso dantesco - ... e quindi uscimmo a riveder le stelle - esprime il nostro stato d'animo.
Non possiamo permetterci di sbagliare.
A noi che siamo nei palazzi del Governo e del Parlamento spetta il compito di corrispondere alle aspettative. Ma non possiamo e non dobbiamo fare da soli.
Le riforme non sono editti, sono decisioni volte ad aiutare i riformatori che stanno gia' cambiando le cose. Voi siete una delegazione rappresentativa di questi riformatori e qui alla presidenza c'e' un'ottima squadra di governo.
Non perdiamoci di vista.
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