Un'universita' allo stremo
Luigi Guiso
07-06-2006
(articolo tratto da www.lavoce.info)
E' coralmente accettato che l'Universita' italiana e' allo stremo. Al di la' di sporadiche voci a difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti - a cominciare dal Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi - concordano sul decadimento della nostra accademia. Nelle graduatorie internazionali non vi e' traccia delle universita' italiane: scomparse. Non ve ne e' alcuna tra le principali dieci al mondo; ma neanche tra le principali dieci in Europa
e' coralmente accettato che l'universita' italiana e' allo stremo. Al di la' di sporadiche voci a sua difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti - a cominciare dal Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi - concordano sul declino della nostra accademia.
Nelle graduatorie internazionali non vi e' traccia delle universita' italiane: scomparse. Non se ne trova alcuna tra le principali dieci al mondo; ma neanche tra le principali dieci in Europa (sette inglesi, due francesi e una svizzera). Se si consulta la classifica di Webometrics oppure quella del Times degli atenei del mondo, dopo innumerevoli bandiere a stelle a strisce, diverse bandiere di sua maesta' britannica, qualche tricolore francese e un certo numero di bandiere tedesche, si scorge una bandierina bianca rossa e verde al centocinquantatreesimo posto. Tiriamo un sospiro di sollievo? Si', ma solo per poco: e' l'Universad Nacional Autonoma de Mexico. La prima italiana, Bologna, appare al centonovantaquattresimo. e' la stessa che nel XIII e XIV secolo era la miglior accademia al mondo e attraeva studenti da tutta Europa, oggi e' ridotta al rango di universita' di provincia.
Alcuni anni fa, durante una visita all'universita' felsinea, mi fu riferito che l'allora rettore stimava il distacco del suo ateneo dalla frontiera della ricerca accademica in 30-50 anni. Significa che la ricerca che oggi produce in media la miglior universita' italiana e' del livello di quella che Harvard - la frontiera odierna - produceva tra il 1950 e il 1970.
e' come se nel 2006 la Fiat fosse solo in grado di progettare e immettere nel mercato l'850 color caffe'latte senza marmitta catalittica o, al meglio, la Fiat 127: gloriose (forse) allora, invendibili oggi. Ma le auto caffe'latte sono finite fuori mercato, i professori no. Non c'e' mercato che li minacci, non c'e' concorrenza che li disciplini. Anzi, controllando gli accessi sono anche in grado di eliminare pericolosi concorrenti, ovvero i ricercatori piu' bravi, come Roberto Perotti ha piu' volte documentato su questo sito.
Una ricetta semplice
Capire le cause del collasso e' utile e molti lo hanno fatto. Ma piu' importante e' dire come rimediare. Un bel rompicapo anche per un ministro di buona volonta' e di talento come l'onorevole Fabio Mussi.
In un articolo sul Sole-24Ore di qualche giorno fa, Luigi Zingales ha proposto di risolvere il problema nell'unico modo possibile: iniettando dosi di concorrenza nel sistema universitario. La proposta di Zingales vuole fornire gli incentivi giusti per accrescere cio' che piu' manca alle nostre universita': la qualita'. Se gli studenti pagano (usando il prestito statale), hanno incentivo a pretendere; poiche' il valore legale e' abolito, cio' che conta e' la reputazione dell'universita' e quindi la sua qualita'. Studenti di miglior talento sono interessati a scegliere le universita' migliori e le universita' hanno incentivo ad attrarli.
Per poterlo fare devono migliorare la qualita', quindi assumere docenti di calibro - anziche' amici, parenti e portaborse - e fornire incentivi giusti a quelli esistenti. L'autonomia contabile e organizzativa e' il corollario: per poter sviluppare la sua politica, ciascuna universita' deve avere liberta' di manovra. Chi abusa di questa liberta' ne paghera' le conseguenze perche' attrarra' meno studenti e di minor qualita' e quindi meno risorse.
Il meccanismo e' impeccabile. e' anche implementabile? Si', se si volesse, ma al ministro Mussi non piace. La sua obiezione e' che quel meccanismo porterebbe rapidamente alla nascita "dell'universita' dei predestinati". Ma non e' gia' cosi', signor ministro? Non abbiamo gia' una universita' di predestinati, siano essi i professori iperprotetti o gli studenti destinati al lavoro con titoli di studio senza un mercato?
Se la proposta Zingales e' troppo rivoluzionaria, le propongo una alternativa meno dirompente, ma ugualmente efficace: passi all'attuazione del sistema di valutazione della ricerca condotta lo scorso anno in via sperimentale dal Civr e condizioni una quota significativa, ad esempio un terzo, dei trasferimenti dello Stato alle universita' alla qualita' della ricerca che vi si produce. Gli atenei che producono piu' ricerca di elevato livello - e solo quelli - ottengono piu' fondi delle altre; poiche' la ricerca di qualita' e' condotta da ricercatori di talento, gli atenei competeranno per attrarre i migliori. I ricercatori di talento hanno un interesse prioritario a mantenere e accrescere il loro "capitale umano" e sanno che uno dei modi per farlo e' attrarre altri ricercatori di elevata qualita' con cui interagire e lavorare. In modo del tutto naturale useranno il merito, e si batteranno perche' tutti lo facciano, come unico criterio di selezione dei professori, avviando il processo di ripresa delle universita'.
Come vede la ricetta e' semplice: una regola ferrea di allocazione dei fondi ai migliori; liberta' di decisione alle universita'. Non c'e' bisogno di Grandi Riforme, i cui beneficiari finora sono stati soprattutto i loro estensori.
07-06-2006
(articolo tratto da www.lavoce.info)
E' coralmente accettato che l'Universita' italiana e' allo stremo. Al di la' di sporadiche voci a difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti - a cominciare dal Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi - concordano sul decadimento della nostra accademia. Nelle graduatorie internazionali non vi e' traccia delle universita' italiane: scomparse. Non ve ne e' alcuna tra le principali dieci al mondo; ma neanche tra le principali dieci in Europa
e' coralmente accettato che l'universita' italiana e' allo stremo. Al di la' di sporadiche voci a sua difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti - a cominciare dal Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi - concordano sul declino della nostra accademia.
Nelle graduatorie internazionali non vi e' traccia delle universita' italiane: scomparse. Non se ne trova alcuna tra le principali dieci al mondo; ma neanche tra le principali dieci in Europa (sette inglesi, due francesi e una svizzera). Se si consulta la classifica di Webometrics oppure quella del Times degli atenei del mondo, dopo innumerevoli bandiere a stelle a strisce, diverse bandiere di sua maesta' britannica, qualche tricolore francese e un certo numero di bandiere tedesche, si scorge una bandierina bianca rossa e verde al centocinquantatreesimo posto. Tiriamo un sospiro di sollievo? Si', ma solo per poco: e' l'Universad Nacional Autonoma de Mexico. La prima italiana, Bologna, appare al centonovantaquattresimo. e' la stessa che nel XIII e XIV secolo era la miglior accademia al mondo e attraeva studenti da tutta Europa, oggi e' ridotta al rango di universita' di provincia.
Alcuni anni fa, durante una visita all'universita' felsinea, mi fu riferito che l'allora rettore stimava il distacco del suo ateneo dalla frontiera della ricerca accademica in 30-50 anni. Significa che la ricerca che oggi produce in media la miglior universita' italiana e' del livello di quella che Harvard - la frontiera odierna - produceva tra il 1950 e il 1970.
e' come se nel 2006 la Fiat fosse solo in grado di progettare e immettere nel mercato l'850 color caffe'latte senza marmitta catalittica o, al meglio, la Fiat 127: gloriose (forse) allora, invendibili oggi. Ma le auto caffe'latte sono finite fuori mercato, i professori no. Non c'e' mercato che li minacci, non c'e' concorrenza che li disciplini. Anzi, controllando gli accessi sono anche in grado di eliminare pericolosi concorrenti, ovvero i ricercatori piu' bravi, come Roberto Perotti ha piu' volte documentato su questo sito.
Una ricetta semplice
Capire le cause del collasso e' utile e molti lo hanno fatto. Ma piu' importante e' dire come rimediare. Un bel rompicapo anche per un ministro di buona volonta' e di talento come l'onorevole Fabio Mussi.
In un articolo sul Sole-24Ore di qualche giorno fa, Luigi Zingales ha proposto di risolvere il problema nell'unico modo possibile: iniettando dosi di concorrenza nel sistema universitario. La proposta di Zingales vuole fornire gli incentivi giusti per accrescere cio' che piu' manca alle nostre universita': la qualita'. Se gli studenti pagano (usando il prestito statale), hanno incentivo a pretendere; poiche' il valore legale e' abolito, cio' che conta e' la reputazione dell'universita' e quindi la sua qualita'. Studenti di miglior talento sono interessati a scegliere le universita' migliori e le universita' hanno incentivo ad attrarli.
Per poterlo fare devono migliorare la qualita', quindi assumere docenti di calibro - anziche' amici, parenti e portaborse - e fornire incentivi giusti a quelli esistenti. L'autonomia contabile e organizzativa e' il corollario: per poter sviluppare la sua politica, ciascuna universita' deve avere liberta' di manovra. Chi abusa di questa liberta' ne paghera' le conseguenze perche' attrarra' meno studenti e di minor qualita' e quindi meno risorse.
Il meccanismo e' impeccabile. e' anche implementabile? Si', se si volesse, ma al ministro Mussi non piace. La sua obiezione e' che quel meccanismo porterebbe rapidamente alla nascita "dell'universita' dei predestinati". Ma non e' gia' cosi', signor ministro? Non abbiamo gia' una universita' di predestinati, siano essi i professori iperprotetti o gli studenti destinati al lavoro con titoli di studio senza un mercato?
Se la proposta Zingales e' troppo rivoluzionaria, le propongo una alternativa meno dirompente, ma ugualmente efficace: passi all'attuazione del sistema di valutazione della ricerca condotta lo scorso anno in via sperimentale dal Civr e condizioni una quota significativa, ad esempio un terzo, dei trasferimenti dello Stato alle universita' alla qualita' della ricerca che vi si produce. Gli atenei che producono piu' ricerca di elevato livello - e solo quelli - ottengono piu' fondi delle altre; poiche' la ricerca di qualita' e' condotta da ricercatori di talento, gli atenei competeranno per attrarre i migliori. I ricercatori di talento hanno un interesse prioritario a mantenere e accrescere il loro "capitale umano" e sanno che uno dei modi per farlo e' attrarre altri ricercatori di elevata qualita' con cui interagire e lavorare. In modo del tutto naturale useranno il merito, e si batteranno perche' tutti lo facciano, come unico criterio di selezione dei professori, avviando il processo di ripresa delle universita'.
Come vede la ricetta e' semplice: una regola ferrea di allocazione dei fondi ai migliori; liberta' di decisione alle universita'. Non c'e' bisogno di Grandi Riforme, i cui beneficiari finora sono stati soprattutto i loro estensori.
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