Abruzzese: Lettera aperta al ministro Fabio Mussi
il manifesto, 1 Giugno 2006
Lettera aperta al ministro Fabio Mussi
Caro Ministro, ci siamo persi di vista da almeno trenta anni. Tu hai fatto politica, io la professione di ricercatore e formatore. Non so se sei soddisfatto di te. Io non lo sono di me, ne' degli ambienti in cui sono stato costretto a invecchiare. Da allora e' cambiato tutto. E credo che le differenze tra noi - generazione, ceto, comunita' di pensiero, che altro? - si misurano solo sulla base di quale consapevolezza abbiamo del tempo che e' passato dal nostro primo apprendistato di cittadini, tu alla Normale di Pisa, io alla Sapienza di Roma. Per questo ti scrivo. Per sapere se, essendoti preso a carico un apparato complesso come l'Universita', tu sappia che cosa essa sia diventata.
Dopo tanti ministri, la cosa che di loro mi ha colpito e' la distanza tra l'impianto delle loro decisioni e la reale natura dell'istituzione a loro affidata.
Ogni intervento riformatore - debole o forte, saggio o scellerato (o scelleratamente realizzato) - ha sempre ritenuto che si trattasse solo di migliorare o credere o far credere di migliorare le componenti di un sistema sostanzialmente prefissato: docenti, discenti, spazi, mezzi, risorse, discipline, programmi di ricerca e di studio, rapporto con il lavoro. Il vizio di ragionare non sulla complessita' dei problemi ma sulle divisioni politiche di chi tali problemi dovrebbe affrontare ha aggravato l'approccio autoreferenziale del sistema universitario su se stesso. Tanto da non avere piu' effettivi referenti e affogare in un'orgia di soli significanti.
Per molti anni questo processo e' restato sotto le ceneri di una lenta combustione, ma ora, caro Ministro, e' ormai davvero impossibile qualsiasi procedura correttiva. A questo punto tutto si spegne o tutto prende fuoco, se - per risanare l'universita' - si decidesse ancora una volta di bendarsi gli occhi su un mondo che, invece di essere riformato, attende ancora di essere conosciuto. Mi spiace per te, gettato in una situazione ormai senza ritorno, ma in un sistema politico-istituzionale c'e' un momento in cui i nodi vengono tutti al pettine. Come tu sai, questi nodi consistono nella scarsissima considerazione che sempre in Italia il potere ha avuto della qualita' professionale e di cio' che e' necessario per crearla e innovarla. Ogni forma di potere: stato, partito (tutti anche quelli che sono stati o sono i nostri), impresa, movimenti.
Sono catastrofico?
Ecco vorrei sapere da te se e' segno di catastrofismo fissare il quadro della situazione universitaria - almeno di quella umanistica - nei seguenti sintetici tratti: i docenti universitari attuali sono il risultato di un progressivo e selvaggio svilimento della loro identita' professionale a causa di un concorso raccapricciante di cause e concause (nessuno li ha piu' formati - se mai e' accaduto - su come soddisfare i nuovi bisogni, sono stati sottratti allo studio e all'attivita' didattico-formativa per soddisfare un peso inaudito di attivita' impiegatizie, moltissimi e spesso i piu' bravi hanno subito e subiscono umilianti e interminabili fasi di sfruttamento e vassallaggio, i dispositivi accademici di selezione e promozione delle carriere sono perversi e restano comunque perversi anche quando vogliano raggiungere, come accade, un qualche esito giusto e equanime); i giovani che accedono all'universita' sono incomparabilmente diversi - non solo culturalmente ma mi azzardo a dire antropologicamente - da qualsiasi precedente generazione, persino quelle che sono state gia' interamente formate, educate, socializzate dalla televisione e dai consumi (sono giovani per cui non valgono, non esistono piu' le memorie e i modi d'essere che hanno contato per noi, ancora inscritti in un'idea d'e'lite della frequentazione universitaria, ancora con la vocazione di classe dirigente: sono giovani per i quali risulta muto e inoperante il linguaggio dei libri e dei manuali che un tempo affiancavano il ruolo dell'insegnante in aula); gli spazi in cui si fa universita', anche quando decenti e ben attrezzati - cosa rara negli atenei pubblici e spesso anche in quelli privati, ma comunque quasi sempre incoerenti rispetto al territorio in cui si collocano - sono la rappresentazione fisica di modelli organizzativi e contenuti della didattica totalmente inadeguati a funzionare come introduzione alla professione e ancor piu' educazione di base, piattaforma culturale generale.
Si potrebbe continuare meglio e piu' rabbiosamente di me. Le questioni chiave pero' sono solo due: per fare una riforma, ci vogliono soldi, altrimenti si scherza; nel campo universitario, bisogna prima di tutto cominciare a pensare su come spenderli. Per compiere questo salto ci vuole grande capacita' di trasgressione da parte di tutte le parti sociali che hanno la responsabilita' dell'istituzione universitaria. Un poco di docenti disposti a rifondare se stessi ci sono. Forse non coincidono pienamente con quelli che reggono il sistema accademico, eppure ci sono e potrebbero avere il coraggio di aggregarsi intorno a progetti locali se si creasse un ambiente favorevole.
Ci vuole convinzione. Il parlamento e' disposto a dire che riguardo alle riforme universitarie si e' coperto di inettitudine o vergogna? L'Impresa - che fa immagine piu' che investimento strutturale - sa fare altrettanto? Credi sia possibile mettere intorno a un tavolo non tanto quelli che sino ad oggi si sono occupati della cosa universitaria - sono sempre gli stessi, esattamente come l'universita' di cui hanno fatalmente portato il peso - quanto piuttosto quelli che in tutti questi anni sono venuti meno al dovere di occuparsene? Se fosse possibile, con quale «primo piatto» ti presenteresti a questo tavolo? Ecco il punto: devi prepararlo questo piatto e presto. Difficile che in questo ti possano bastare lamenti raccolti in loco, consigli negoziati per via ufficiale, voci dei media, intrattenimenti tra colti, fraseggi tra manager o funzionari.
Prova a creare un ambiente per ricercare e pensare. Non credo che sara' tempo perso. Un caro augurio di buon lavoro.
Alberto Abruzzese
Lettera aperta al ministro Fabio Mussi
Caro Ministro, ci siamo persi di vista da almeno trenta anni. Tu hai fatto politica, io la professione di ricercatore e formatore. Non so se sei soddisfatto di te. Io non lo sono di me, ne' degli ambienti in cui sono stato costretto a invecchiare. Da allora e' cambiato tutto. E credo che le differenze tra noi - generazione, ceto, comunita' di pensiero, che altro? - si misurano solo sulla base di quale consapevolezza abbiamo del tempo che e' passato dal nostro primo apprendistato di cittadini, tu alla Normale di Pisa, io alla Sapienza di Roma. Per questo ti scrivo. Per sapere se, essendoti preso a carico un apparato complesso come l'Universita', tu sappia che cosa essa sia diventata.
Dopo tanti ministri, la cosa che di loro mi ha colpito e' la distanza tra l'impianto delle loro decisioni e la reale natura dell'istituzione a loro affidata.
Ogni intervento riformatore - debole o forte, saggio o scellerato (o scelleratamente realizzato) - ha sempre ritenuto che si trattasse solo di migliorare o credere o far credere di migliorare le componenti di un sistema sostanzialmente prefissato: docenti, discenti, spazi, mezzi, risorse, discipline, programmi di ricerca e di studio, rapporto con il lavoro. Il vizio di ragionare non sulla complessita' dei problemi ma sulle divisioni politiche di chi tali problemi dovrebbe affrontare ha aggravato l'approccio autoreferenziale del sistema universitario su se stesso. Tanto da non avere piu' effettivi referenti e affogare in un'orgia di soli significanti.
Per molti anni questo processo e' restato sotto le ceneri di una lenta combustione, ma ora, caro Ministro, e' ormai davvero impossibile qualsiasi procedura correttiva. A questo punto tutto si spegne o tutto prende fuoco, se - per risanare l'universita' - si decidesse ancora una volta di bendarsi gli occhi su un mondo che, invece di essere riformato, attende ancora di essere conosciuto. Mi spiace per te, gettato in una situazione ormai senza ritorno, ma in un sistema politico-istituzionale c'e' un momento in cui i nodi vengono tutti al pettine. Come tu sai, questi nodi consistono nella scarsissima considerazione che sempre in Italia il potere ha avuto della qualita' professionale e di cio' che e' necessario per crearla e innovarla. Ogni forma di potere: stato, partito (tutti anche quelli che sono stati o sono i nostri), impresa, movimenti.
Sono catastrofico?
Ecco vorrei sapere da te se e' segno di catastrofismo fissare il quadro della situazione universitaria - almeno di quella umanistica - nei seguenti sintetici tratti: i docenti universitari attuali sono il risultato di un progressivo e selvaggio svilimento della loro identita' professionale a causa di un concorso raccapricciante di cause e concause (nessuno li ha piu' formati - se mai e' accaduto - su come soddisfare i nuovi bisogni, sono stati sottratti allo studio e all'attivita' didattico-formativa per soddisfare un peso inaudito di attivita' impiegatizie, moltissimi e spesso i piu' bravi hanno subito e subiscono umilianti e interminabili fasi di sfruttamento e vassallaggio, i dispositivi accademici di selezione e promozione delle carriere sono perversi e restano comunque perversi anche quando vogliano raggiungere, come accade, un qualche esito giusto e equanime); i giovani che accedono all'universita' sono incomparabilmente diversi - non solo culturalmente ma mi azzardo a dire antropologicamente - da qualsiasi precedente generazione, persino quelle che sono state gia' interamente formate, educate, socializzate dalla televisione e dai consumi (sono giovani per cui non valgono, non esistono piu' le memorie e i modi d'essere che hanno contato per noi, ancora inscritti in un'idea d'e'lite della frequentazione universitaria, ancora con la vocazione di classe dirigente: sono giovani per i quali risulta muto e inoperante il linguaggio dei libri e dei manuali che un tempo affiancavano il ruolo dell'insegnante in aula); gli spazi in cui si fa universita', anche quando decenti e ben attrezzati - cosa rara negli atenei pubblici e spesso anche in quelli privati, ma comunque quasi sempre incoerenti rispetto al territorio in cui si collocano - sono la rappresentazione fisica di modelli organizzativi e contenuti della didattica totalmente inadeguati a funzionare come introduzione alla professione e ancor piu' educazione di base, piattaforma culturale generale.
Si potrebbe continuare meglio e piu' rabbiosamente di me. Le questioni chiave pero' sono solo due: per fare una riforma, ci vogliono soldi, altrimenti si scherza; nel campo universitario, bisogna prima di tutto cominciare a pensare su come spenderli. Per compiere questo salto ci vuole grande capacita' di trasgressione da parte di tutte le parti sociali che hanno la responsabilita' dell'istituzione universitaria. Un poco di docenti disposti a rifondare se stessi ci sono. Forse non coincidono pienamente con quelli che reggono il sistema accademico, eppure ci sono e potrebbero avere il coraggio di aggregarsi intorno a progetti locali se si creasse un ambiente favorevole.
Ci vuole convinzione. Il parlamento e' disposto a dire che riguardo alle riforme universitarie si e' coperto di inettitudine o vergogna? L'Impresa - che fa immagine piu' che investimento strutturale - sa fare altrettanto? Credi sia possibile mettere intorno a un tavolo non tanto quelli che sino ad oggi si sono occupati della cosa universitaria - sono sempre gli stessi, esattamente come l'universita' di cui hanno fatalmente portato il peso - quanto piuttosto quelli che in tutti questi anni sono venuti meno al dovere di occuparsene? Se fosse possibile, con quale «primo piatto» ti presenteresti a questo tavolo? Ecco il punto: devi prepararlo questo piatto e presto. Difficile che in questo ti possano bastare lamenti raccolti in loco, consigli negoziati per via ufficiale, voci dei media, intrattenimenti tra colti, fraseggi tra manager o funzionari.
Prova a creare un ambiente per ricercare e pensare. Non credo che sara' tempo perso. Un caro augurio di buon lavoro.
Alberto Abruzzese
Etichette: politica universitaria
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