Martinotti: Neanche prima erano rose e fiori... Una difesa (d'ufficio?) della riforma
In difesa della riforma universitaria
di Guido Martinotti
Cari amici, e Stefano Manferlotti in particolare, va tutto bene, ma non inventiamo favole e soprattutto non propaghiamole. Da dove viene fuori che "in alcuni campi 'sfornavamo' i migliori laureati d'Europa"? (chi, quando?) Sono stato per molti anni in diverse commissioni a livello europeo e davvero non me ne sono accorto. Tra l'altro era difficile vederli perche' in grandissima parte i laureati italiani non sono poliglotti. E tra l'altro ancora e' statisticamente improbabile avendo noi avuto fino alla 509, 10% di laureati sulla popolazione, dato che condividevamo con Portogallo, Turchia e Messico soltanto. Mentre la maggior parte dei paesi europei sviluppati ne aveva sopra il 20% e alcuni sopra il 30%. Quando uno studioso fa affermazioni di questo genere, che vanno in giro anche al di la' della nostra bolla confinaria, o cita la fonte, oppure rischia di esporci al ludibrio di altri paesi d'Europa, che con piu' legittimita' aspirano a questa qualifica.
Quanto alla chiarezza dell'ordinamento ("fra le sue non poche qualita' [...] aveva anche quelle, decisive, della semplicita' e della chiarezza") andate a parlarne con i numerosi studenti postlaurea all'estero che (come me) hanno subito l'esperienza, non proprio piacevole, di vedere adeguata la vecchia laurea al livello BA. E soprattutto qualcuno, per favore, per favore, prima di parlare di "chiarezza degli ordinamenti tradizionali" si vada a leggere le carte del Bologna process cui partecipano ora 43 ministeri nazionali dell'universita' dai 28 originali di Bologna. Dobbiamo credere che siano tutti cretini? Oppure che facciano parte della SMERSH-Berlinguer per distruggere la universita' italiana? Mi trovo attualmente a Barcelona in un comitato internazionale di 14 membri per la valutazione del dottorato online della UOC. In Spagna come in tutti gli altri paesi d'Europa (se mi sbaglio accetto correzioni) nessuno parla di 3+2, ma si parla di Bologna Process oppure, come in Francia del piu' corretto LMD (Licence, Master, Doctorat). Tutti fanno fatica ad adeguarsi al nuovo sistema, scelto appunto per ragioni di trasparenza e compatibilita', ma da nessuna parte si insiste cosi' tanto sull'"orrore" di un ciclo breve. Anche perche' era solo l'Italia a non averlo. Posso ricordare il passo centrale della dichiarazione di Bologna del 1999?
The Bologna Declaration of 19 June 1999 involves six actions relating to:
1. a system of academic grades which are easy to read and compare, including the introduction of the diploma supplement (designed to improve international "transparency" and facilitate academic and professional recognition of qualifications);
2. a system essentially based on two cycles : a first cycle geared to the employment market and lasting at least three years and a second cycle (Master) conditional upon the completion of the first cycle;
3. a system of accumulation and transfer of credits (of the ECTS type
already used successfully under Socrates-Erasmus);
4. mobility of students, teachers and researchers;
5. cooperation with regard to quality assurance;
6. the European dimension of higher education.
The aim of the process is thus to make the higher education systems in Europe converge towards a more transparent system which whereby the different national systems would use a common framework based on three cycles - Degree/Bachelor, Master and Doctorate.
Come mai solo nel nostro paese ci si e' concentrati sulla formula giornalistica "3+2" che esclude tutti gli altri aspetti dell'esperimento europeo e che ha dato vita a pubblicazioni che di libro hanno a malapena il titolo e la copertina cartonata (se qualcuno me lo chiede posso documentare questa affermazione, con il necessario spazio)? Come mai si continua a ripetere come verita' assoluta la colossale ovvieta' che non si possono fare bene in tre anni, tutte le materie che si facevano prima in quattro o cinque e che e' questo, in aggiunta al perverso sistema di "imponibile di mano d'opera", negoziato a livello centrale, uno dei nodi del problema, e non l'ipostatizzazione di un numero qualsivoglia di anni per un percorso formativo? Come mai al mondo ci sono universita' in cui, poniamo, si puo' diventare super avvocati che operano a livello mondiale, in tre anni, piu' un paio di mesi per l'esame professionale? Sono piu' stupidi i nostri studenti? Sono piu' inetti i nostri professori? Oppure e' l'imponibile di mano d'opera che obbliga gli studenti a farsi "n" esami, in moltissime parti ripetitivi perche' l'iesimo gruppo cattedratico deve piazzare i suoi allievi e lo puo' fare solo se controlla quell'orticello? Nessuno si puo' nascondere le difficolta' legate a un cambiamento dal nostro sistema superfeudale tradizionale che ha dato la prova di essere uno dei peggiori del mondo (dati alla mano. Dati OCSE, ma non solo: io per esempio ho lavorato sui dati UNESCO con risultati simili) a un sistema europeo articolato diversamente. Ma prima di affermare che "gli studenti meritevoli provenienti dalle classi piu' disagiate sono stati danneggiati moltissimo dalla riforma, che ha eliminato quel po' di meritocrazia che (immagino l'universita' preriforma, ndr) tutelava", occorre dire dove si trovano i dati che sostengono una affermazione di questo tipo che dichiara l'opposto di tutte le ricerche fatte in argomento, oltre che della comune esperienza. A scrivere blog e tatzebao siamo capaci tutti, ma le discussioni in ambiente scientifico dovrebbero rispettare alcune verita' fattuali. Usiamo gli strumenti degli studiosi (scholars) e lasciamo agli intellettuali come Pietro Citati la licenza di parlare, anche di cose che non conoscono. Per esempio si smetta di ripetere con meccanica papericita' che "le imprese rifiutano le lauree triennali", perche' come ha dimostrato Andrea Cammelli nella conferenza "La Riforma alla prova dei fatti. VIII Indagine AlmaLaurea sul profilo dei laureati.Caratteristiche e performance dei 180.000 laureati 2005" (Verona, Aula Magna dell'Universita', giovedi', 25 maggio 2006) dove sono intervenuti molti studiosi e fortunatamente pochi intellettuali, le imprese i laureati triennali non li hanno ancora visti. Non sappiamo quindi se li vorranno o no, e far passare ora come un fatto accertato quella che e' solo l'opinione di chi parla e' una azione da irresponsabili perche' rischia di danneggiare migliaia di studenti e trasformarsi nella classica profezia che si autoavvera. Comunque poiche' il problema dell'inserimento dei laureati (tutti e di tutti gli anni) nel sistema produttivo italiano esiste, e come, si cominci a ragionare di azioni da intraprendere in campo di politica industriale e del lavoro, e non sempre limitando la visuale alla discussione autistica sul sistema formativo. Nel caso specifico si puo' usare l'ampio database creato da Alma Laurea (che puo' essere complementato, per una copertura quasi totale del sistema, da quello del Cilea per le universita' lombarde) da cui non risulta affatto che stia avvenendo quello che Manferlotti asserisce con la sicurezza riservata agli assiomi. Se usiamo poi le esperienze personali posso dire che nella mia facolta' da quattro anni e' attivato un corso di laurea triennale con numero programmato di 150 matricole (piu' altre 150 del parallelo corso di Nettuno) in "Scienze del turismo e comunita' locale". In tutto fanno 300 matricole ogni anno che conosco bene perche' tengo uno dei moduli di trincea del primo anno. Quasi nessuno di questi studenti - che non sanno il latino, ma che sono tra i migliori che abbia avuto - sarebbe andato all'universita' senza il ciclo breve. I laureati triennali vanno a collocarsi in un settore che e' uno degli assi portanti dell'economia del paese nel quale c'e' un bisogno assoluto di persone con preparazione universitaria specifica. Come si conciliano questi dati e queste esperienze, che non posso ovviamente generalizzare, ma che hanno una loro corposita' numerica non indifferente, con l'opinione personale, e allo stato non minimamente documentata, espressa dal collega dell'Orientale che "studenti meritevoli provenienti dalle classi piu' disagiate sono stati danneggiati moltissimo dalla riforma"?
Non ho nessuna difficolta' ad ammettere i molti problemi delle lauree triennali e soprattutto quelli del passaggio alle lauree del ciclo lungo, per non parlare del dottorato. Nella mia facolta' e anche in buona parte della mia universita' si stanno sperimentando varie soluzioni: con molto impegno, posso anche dirlo, perche' essendo in sabbatico non parlo di me. Certo tutto sarebbe piu' facile se ci fossero meno vincoli di imponibile di mano d'opera, che van bene in una economia povera, ma sono letali per far crescere. Ma non posso sottoscrivere il catastrofismo di tanti "sentenziosi intellettuali" e anche quello di alcuni colleghi dell'ANDU intervenuti in questi ultimi tempi. Negli ultimi venti anni l'universita' italiana, con tutti i suoi problemi, ha fatto passi da gigante. Perche' non stiamo a sentire chi ha fatto ricerche accurate come Roberto Moscati, oppure come il coordinatore dei Presidi della Facolta' di Scienze i quali hanno monitorato la 509 con il rigore degli studiosi. A Verona il collega Enrico Predazzi dell'Universita' di Torino gia' coordinatore delle Facolta' di scienze,
concluso il suo discorso dicendo (sono responsabile delle singole parole, perche' prendevo note, ma posso assicurare la corrispondenza del senso): "certamente ci sono molti problemi nella applicazione della 509, ma non siamo neppur lontanamente vicini alla situazione descritta da Pietro Citati" (che, aggiungo io, non monitora un bel nulla, ma parla da intellettuale, sulla base del sentito dire di "qualche amico" come lui stesso scrive). Quanto a "tornare indietro per andare avanti" puo' darsi anche che cio' avvenga, perche', come scrive Sartori, noi siamo un paese veramente strano. Ritorneremmo cosi' ad essere quel sistema universitario unico al mondo che i dati di comparazione internazionale segnalano e con le caratteristiche di qualita' infime che gli erano riconosciute ovunque. Ricordiamoci pero' che quella era "L'universita' dei tre tradimenti" (Raffaele Simone, Laterza, Roma, 1993 (agg. 2000) prima che la banda Ruberti-Berlinguer ci mettesse mano) e aspetto ancora qualcuno che produca una pubblicazione ante-marcia in cui si elogiassero, allora e dati alla mano, tutte le virtu' che oggi si attribuiscono ai bei tempi andati, secondo una millenaria inclinazione della nostra cultura di perenni laudatores temporis actis.
[Dalla lista di discussione dell'ANDU (Associazione nazionale Docenti Universitari)]
(06 giugno 2006)
di Guido Martinotti
Cari amici, e Stefano Manferlotti in particolare, va tutto bene, ma non inventiamo favole e soprattutto non propaghiamole. Da dove viene fuori che "in alcuni campi 'sfornavamo' i migliori laureati d'Europa"? (chi, quando?) Sono stato per molti anni in diverse commissioni a livello europeo e davvero non me ne sono accorto. Tra l'altro era difficile vederli perche' in grandissima parte i laureati italiani non sono poliglotti. E tra l'altro ancora e' statisticamente improbabile avendo noi avuto fino alla 509, 10% di laureati sulla popolazione, dato che condividevamo con Portogallo, Turchia e Messico soltanto. Mentre la maggior parte dei paesi europei sviluppati ne aveva sopra il 20% e alcuni sopra il 30%. Quando uno studioso fa affermazioni di questo genere, che vanno in giro anche al di la' della nostra bolla confinaria, o cita la fonte, oppure rischia di esporci al ludibrio di altri paesi d'Europa, che con piu' legittimita' aspirano a questa qualifica.
Quanto alla chiarezza dell'ordinamento ("fra le sue non poche qualita' [...] aveva anche quelle, decisive, della semplicita' e della chiarezza") andate a parlarne con i numerosi studenti postlaurea all'estero che (come me) hanno subito l'esperienza, non proprio piacevole, di vedere adeguata la vecchia laurea al livello BA. E soprattutto qualcuno, per favore, per favore, prima di parlare di "chiarezza degli ordinamenti tradizionali" si vada a leggere le carte del Bologna process cui partecipano ora 43 ministeri nazionali dell'universita' dai 28 originali di Bologna. Dobbiamo credere che siano tutti cretini? Oppure che facciano parte della SMERSH-Berlinguer per distruggere la universita' italiana? Mi trovo attualmente a Barcelona in un comitato internazionale di 14 membri per la valutazione del dottorato online della UOC. In Spagna come in tutti gli altri paesi d'Europa (se mi sbaglio accetto correzioni) nessuno parla di 3+2, ma si parla di Bologna Process oppure, come in Francia del piu' corretto LMD (Licence, Master, Doctorat). Tutti fanno fatica ad adeguarsi al nuovo sistema, scelto appunto per ragioni di trasparenza e compatibilita', ma da nessuna parte si insiste cosi' tanto sull'"orrore" di un ciclo breve. Anche perche' era solo l'Italia a non averlo. Posso ricordare il passo centrale della dichiarazione di Bologna del 1999?
The Bologna Declaration of 19 June 1999 involves six actions relating to:
1. a system of academic grades which are easy to read and compare, including the introduction of the diploma supplement (designed to improve international "transparency" and facilitate academic and professional recognition of qualifications);
2. a system essentially based on two cycles : a first cycle geared to the employment market and lasting at least three years and a second cycle (Master) conditional upon the completion of the first cycle;
3. a system of accumulation and transfer of credits (of the ECTS type
already used successfully under Socrates-Erasmus);
4. mobility of students, teachers and researchers;
5. cooperation with regard to quality assurance;
6. the European dimension of higher education.
The aim of the process is thus to make the higher education systems in Europe converge towards a more transparent system which whereby the different national systems would use a common framework based on three cycles - Degree/Bachelor, Master and Doctorate.
Come mai solo nel nostro paese ci si e' concentrati sulla formula giornalistica "3+2" che esclude tutti gli altri aspetti dell'esperimento europeo e che ha dato vita a pubblicazioni che di libro hanno a malapena il titolo e la copertina cartonata (se qualcuno me lo chiede posso documentare questa affermazione, con il necessario spazio)? Come mai si continua a ripetere come verita' assoluta la colossale ovvieta' che non si possono fare bene in tre anni, tutte le materie che si facevano prima in quattro o cinque e che e' questo, in aggiunta al perverso sistema di "imponibile di mano d'opera", negoziato a livello centrale, uno dei nodi del problema, e non l'ipostatizzazione di un numero qualsivoglia di anni per un percorso formativo? Come mai al mondo ci sono universita' in cui, poniamo, si puo' diventare super avvocati che operano a livello mondiale, in tre anni, piu' un paio di mesi per l'esame professionale? Sono piu' stupidi i nostri studenti? Sono piu' inetti i nostri professori? Oppure e' l'imponibile di mano d'opera che obbliga gli studenti a farsi "n" esami, in moltissime parti ripetitivi perche' l'iesimo gruppo cattedratico deve piazzare i suoi allievi e lo puo' fare solo se controlla quell'orticello? Nessuno si puo' nascondere le difficolta' legate a un cambiamento dal nostro sistema superfeudale tradizionale che ha dato la prova di essere uno dei peggiori del mondo (dati alla mano. Dati OCSE, ma non solo: io per esempio ho lavorato sui dati UNESCO con risultati simili) a un sistema europeo articolato diversamente. Ma prima di affermare che "gli studenti meritevoli provenienti dalle classi piu' disagiate sono stati danneggiati moltissimo dalla riforma, che ha eliminato quel po' di meritocrazia che (immagino l'universita' preriforma, ndr) tutelava", occorre dire dove si trovano i dati che sostengono una affermazione di questo tipo che dichiara l'opposto di tutte le ricerche fatte in argomento, oltre che della comune esperienza. A scrivere blog e tatzebao siamo capaci tutti, ma le discussioni in ambiente scientifico dovrebbero rispettare alcune verita' fattuali. Usiamo gli strumenti degli studiosi (scholars) e lasciamo agli intellettuali come Pietro Citati la licenza di parlare, anche di cose che non conoscono. Per esempio si smetta di ripetere con meccanica papericita' che "le imprese rifiutano le lauree triennali", perche' come ha dimostrato Andrea Cammelli nella conferenza "La Riforma alla prova dei fatti. VIII Indagine AlmaLaurea sul profilo dei laureati.Caratteristiche e performance dei 180.000 laureati 2005" (Verona, Aula Magna dell'Universita', giovedi', 25 maggio 2006) dove sono intervenuti molti studiosi e fortunatamente pochi intellettuali, le imprese i laureati triennali non li hanno ancora visti. Non sappiamo quindi se li vorranno o no, e far passare ora come un fatto accertato quella che e' solo l'opinione di chi parla e' una azione da irresponsabili perche' rischia di danneggiare migliaia di studenti e trasformarsi nella classica profezia che si autoavvera. Comunque poiche' il problema dell'inserimento dei laureati (tutti e di tutti gli anni) nel sistema produttivo italiano esiste, e come, si cominci a ragionare di azioni da intraprendere in campo di politica industriale e del lavoro, e non sempre limitando la visuale alla discussione autistica sul sistema formativo. Nel caso specifico si puo' usare l'ampio database creato da Alma Laurea (che puo' essere complementato, per una copertura quasi totale del sistema, da quello del Cilea per le universita' lombarde) da cui non risulta affatto che stia avvenendo quello che Manferlotti asserisce con la sicurezza riservata agli assiomi. Se usiamo poi le esperienze personali posso dire che nella mia facolta' da quattro anni e' attivato un corso di laurea triennale con numero programmato di 150 matricole (piu' altre 150 del parallelo corso di Nettuno) in "Scienze del turismo e comunita' locale". In tutto fanno 300 matricole ogni anno che conosco bene perche' tengo uno dei moduli di trincea del primo anno. Quasi nessuno di questi studenti - che non sanno il latino, ma che sono tra i migliori che abbia avuto - sarebbe andato all'universita' senza il ciclo breve. I laureati triennali vanno a collocarsi in un settore che e' uno degli assi portanti dell'economia del paese nel quale c'e' un bisogno assoluto di persone con preparazione universitaria specifica. Come si conciliano questi dati e queste esperienze, che non posso ovviamente generalizzare, ma che hanno una loro corposita' numerica non indifferente, con l'opinione personale, e allo stato non minimamente documentata, espressa dal collega dell'Orientale che "studenti meritevoli provenienti dalle classi piu' disagiate sono stati danneggiati moltissimo dalla riforma"?
Non ho nessuna difficolta' ad ammettere i molti problemi delle lauree triennali e soprattutto quelli del passaggio alle lauree del ciclo lungo, per non parlare del dottorato. Nella mia facolta' e anche in buona parte della mia universita' si stanno sperimentando varie soluzioni: con molto impegno, posso anche dirlo, perche' essendo in sabbatico non parlo di me. Certo tutto sarebbe piu' facile se ci fossero meno vincoli di imponibile di mano d'opera, che van bene in una economia povera, ma sono letali per far crescere. Ma non posso sottoscrivere il catastrofismo di tanti "sentenziosi intellettuali" e anche quello di alcuni colleghi dell'ANDU intervenuti in questi ultimi tempi. Negli ultimi venti anni l'universita' italiana, con tutti i suoi problemi, ha fatto passi da gigante. Perche' non stiamo a sentire chi ha fatto ricerche accurate come Roberto Moscati, oppure come il coordinatore dei Presidi della Facolta' di Scienze i quali hanno monitorato la 509 con il rigore degli studiosi. A Verona il collega Enrico Predazzi dell'Universita' di Torino gia' coordinatore delle Facolta' di scienze,
concluso il suo discorso dicendo (sono responsabile delle singole parole, perche' prendevo note, ma posso assicurare la corrispondenza del senso): "certamente ci sono molti problemi nella applicazione della 509, ma non siamo neppur lontanamente vicini alla situazione descritta da Pietro Citati" (che, aggiungo io, non monitora un bel nulla, ma parla da intellettuale, sulla base del sentito dire di "qualche amico" come lui stesso scrive). Quanto a "tornare indietro per andare avanti" puo' darsi anche che cio' avvenga, perche', come scrive Sartori, noi siamo un paese veramente strano. Ritorneremmo cosi' ad essere quel sistema universitario unico al mondo che i dati di comparazione internazionale segnalano e con le caratteristiche di qualita' infime che gli erano riconosciute ovunque. Ricordiamoci pero' che quella era "L'universita' dei tre tradimenti" (Raffaele Simone, Laterza, Roma, 1993 (agg. 2000) prima che la banda Ruberti-Berlinguer ci mettesse mano) e aspetto ancora qualcuno che produca una pubblicazione ante-marcia in cui si elogiassero, allora e dati alla mano, tutte le virtu' che oggi si attribuiscono ai bei tempi andati, secondo una millenaria inclinazione della nostra cultura di perenni laudatores temporis actis.
[Dalla lista di discussione dell'ANDU (Associazione nazionale Docenti Universitari)]
(06 giugno 2006)
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