31.5.06

Manferlotti: Tornare indietro per andare avanti

Lettera al direttore di AprileOnLine.Info
Numero 173 del 31/05/2006

Cari amici,
penso che la soluzione piu' saggia sarebbe quella di tornare al vecchio ordinamento, che fra le sue non poche qualita' (in alcuni campi "sfornavamo" i migliori laureati d'Europa) aveva anche quelle, decisive, della semplicita' e della chiarezza. Apportandovi le indispensabili modifiche, naturalmente, ma senza fare come i responsabili della riforma, che hanno buttato il bambino per tenersi l'acqua sporca. Non solo, ma gli studenti meritevoli provenienti dalle classi piu' disagiate sono stati danneggiati moltissimo dalla riforma, che ha eliminato quel po' di meritocrazia che era tutelata. Che se ne sia reso responsabile un governo di sinistra e' uno di quei tristi paradossi della storia. Ma ora bisogna interrompere questo circolo perverso.
La riforma e' insalvabile, i correttivi proposti (imposti) in questi ultimi mesi l'hanno resa ancora piu' macchinosa e impraticabile. Insomma, tornare indietro per andare avanti.
Saluti cordiali,

Stefano Manferlotti
Ordinario di letteratura inglese - Universita' di Napoli Federico II

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30.5.06

Il discount del tre per due

Marina Montacutelli
(da AprileOnLine.Info, n. 172 del 29/05/2006)

Universita': il sottosegretario - on. Luciano Modica - rilancia il 3+2 e il sistema dei crediti. Il prof. Paolo Prodi - presidente della Giunta Storica Nazionale - esprime, invece, il piu' netto dissenso. Che fare?

La situazione - diceva Ennio Flaiano - e' disperata, ma non e' seria.
Rischia, comunque, di diventare preoccupante.

Una settimana dopo il giuramento, il sottosegretario all'Universita' - on. Luciano Modica - ha rilasciato alcune interviste nelle quali, mentre giustamente ribadisce la necessita' di rivedere le modalita' di attuazione della "riforma Moratti" per la didattica nonche' quelle per il reclutamento, il finanziamento degli atenei e sulle cosiddette "classi di laurea", conferma tuttavia la bonta' sostanziale del sistema escogitato dagli allora ministri Luigi Berlinguer e Ortensio Zecchino, ovvero il cosiddetto "3+2" e il correlato sistema dei crediti per conseguire un titolo universitario, con l'obiettivo generale di mettere in "competizione per la qualita'" gli atenei, insistendo inoltre sulla necessita' (su cui ci sarebbe, per la verita', qualcosa da dire su cosa significhi davvero) della loro piena autonomia. Tutto bene, se non si avesse la sensazione della polvere sotto il tappeto.
In un articolo su "l'Unita'", Paolo Prodi - presidente della Giunta Storica Nazionale - ha evidenziato, infatti, che "con il sistema attuale dei crediti non produciamo ne' cultura, ne' preparazione professionale". Di che si tratta? Che fare? Qui non e' solo in discussione l'organizzazione di un ciclo di studi ma di pensare - scusate se e' poco - al futuro della societa': che non e' unicamente (anche) ingenerare una preparazione atta a procacciare un lavoro - preferibilmente stabile - ai giovani, ma pure di dar corpo (finalmente) al semplicemente perfetto dettame costituzionale che recita "la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". E su questo non dovrebbero esserci proprio incompatibilita' di bilancio, qualunque sia il livello del deficit: perche' e' in gioco il destino di tutto noi.
L'universita' italiana e', da qualche anno, organizzata appunto con il sistema dei crediti: ossia una specie di tessera che permette di acquisire punti di un sapere fornito ormai in dosi omeopatiche (con la frequenza, il lavoro a casa e qualche libro), fino all'agognato pezzo di carta dopo tre anni ("breve"), ovvero dopo altri due ("specialistica"). Obiettivo della riforma: aumentare il numero dei laureati. Berlinguer e Zecchino vollero riformare e a costo zero: e questo fu, indubitabilmente, un male. Vollero cambiare senza coinvolgere i lavoratori, ovvero - per ripulire un po' il linguaggio - gli "operatori" e gli "studenti-clienti". E questo fu malissimo. La parola d'ordine, piu' o meno sommessa, comunque fu: "fate numero". Poi, arrivo' la signora Letizia Moratti.
Risultato: il cerino acceso in mano resta sempre agli stessi, e con il manico sempre piu' corto; l'universita' e' diventata un discount delle piu' svariate, e incredibilmente inverosimili, offerte. E chi paga, con la fiammella del sapere che si affievolisce sempre piu', siamo - banalmente - tutti noi: ovvero quello Stato che dovrebbe promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca, nonche' l'istruzione non predestinata dal lavoro di papa'.
Perche' la conclusione di questa bella storia e' - in nome di un numero che non riesce proprio a coniugarsi con una qualita', di cui si avrebbe certamente bisogno; per un pezzo di carta cosi' inutilizzabile da produrre un esercito di analfabeti titolati e un'inqualificabile pletora di master privati: e i curricula grondano ormai di onorificenze, ma sembrano a guardar bene la pioggia di Vardiello; per una laurea "espressa" che rimane un accelerato, perche' i "fuori corso" non sembrano affatto diminuiti e i laureati nemmeno aumentano; con un'applicazione meccanica di modelli scopiazzati sciattamente, e non sempre adatti alla complessita' del sapere; impartendo "corsi" su non si sa bene cosa e affidati a non si sa chi, ma che permettono comunque di aggiungere i bollini della promozione alla tessera; grazie a convenzioni con ogni genere e fattispecie di istituzione sia pubblica che privata, che di bollini ne accordano invece un mazzetto; cercando un presunto riconoscimento delle professionalita', che produce spesso un'ulteriore mercificazione del sapere e delle sue forme e titoli giacche' non sono un pacco confezionato o confezionabile ne' l'uno, ne' gli altri; constatando un calo vertiginoso delle iscrizioni alle facolta' tecnico-scientifiche, cioe' quelle che dovrebbero dare le gambe ad una modernizzazione indispensabile e non piu' rinviabile; facendo procreare alfine "tesi di laurea" dallo spessore di una sogliola - la distruzione dell'universita' pubblica.
Enigmatiche, dunque, le dichiarazioni dell'on. Modica: mentre l'universita' sperimenta e dubita di un modello di insegnamento e della sua organizzazione perche' sembra che abbia davvero poco funzionato (quando non ha fatto i danni sotto gli occhi di tutti), e il ministro intende verificarli "sul campo", appare poco congruente - o utile e foriero di prospettive per il "bene comune sapere", ma anche per lo sviluppo - che tutto cio' sia liquidato con un troppo generico "il sistema va completamente rivisto" che sottende, tuttavia, il virtuosismo del modello dei crediti e della laurea "breve". Cerchiamo, allora, di intenderci sul metodo e sugli obiettivi, come pure sullo spazio della politica.
Noi, "operatori del settore", non siamo come l'angelo di Benjamin, la testa rivolta indietro perche' il progresso preannuncia bufera. Non c'e' alcuna nostalgia per la vecchia universita' rigida e talvolta pericolosamente, esclusivamente nozionistica: il sapere e' per sua natura critico; il sapere, al di la' dei modi per organizzarne la trasmissione, e' unico. Ripensare significa, credo, riconsiderare nel presente quelle possibilita' che nel passato sono state interrotte e trasformarle - solo ed esclusivamente dopo opportune, consensuali verifiche - in atto politico.
Prima di ribadire presunte "virtualita'" metodologiche e organizzative sara' dunque buona cosa, in una situazione appunto disperata, capire cio' che e' accaduto e ascoltare chi nelle universita' lavora o apprende; predisporre, poi, gli strumenti conoscitivi utili per una seria revisione del sistema, ma non dando nulla per scontato; coniugare, infine, tutto cio' non solo con le certe difficolta' del bilancio nazionale ma, anche, con le prospettive di medio e lungo periodo di una societa' affetta (bisogna ricordarlo?) non solo dal berlusconismo, ma da cio' che questo significa nel profondo: ossia una miscela di populismo, clientelismo, particolarismo, razzismo, antifiscalismo, trasformismo, coniugati con dosi massicce di dannunzianesimo guerrafondaio e di stile e interessi padronali di corto, anzi cortissimo respiro. Il problema del consenso e' prioritario per il Governo e per i suoi Ministri; il problema del futuro - ossia di cosa, come, perche' si insegna ai giovani - e' pero' molto, molto piu' importante. Non so quanto giovi organizzare il sapere per approssimazioni successive, quando non si capisce a cosa ci si vuole approssimare salvo il produrre una "quantita'" che non e' buona nemmeno per le statistiche. Certo e' che, se vogliamo lo specchio di un Paese al tramonto, questo e' proprio la dequalificante e dequalificata "universita' dei bollini".
No, non e' l'angelo che guarda indietro di Benjamin. E' il grido, disperato, di Munch.
Speriamo che ce la caviamo.

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Caro ministro Mussi...

(AprileOnLine.Info n. 172 del 29/05/2006)

Pubblichiamo la lettera aperta pervenutaci a firma di docenti e ricercatori e la lettera sottoscritta da numerose sigle sindacali
***

La lettera aperta inviata da docenti e ricercatori universitari

On. ministro Fabio Mussi,
un governo che non scommetta sul futuro del proprio Paese - lo sappiamo - e' un governo votato al suicidio.
Da anni nell'Universita' italiana e' in atto un processo di degrado sul fronte scientifico, culturale, istituzionale che ha quasi fatto dimenticare ai piu' le premesse originarie di questa nobile quanto importante Istituzione formativa: quelle di essere il luogo privilegiato ed alto dell'elaborazione e della trasmissione del sapere critico, non subordinato a nessuna forma di potere.
E' in atto da tempo, per responsabilita' varie e diverse, una inquietante deriva dell'istituzione pubblica, della res publica, confinata a rango di istituzione marginale, quasi improduttiva, spesso sospettata, a volte a ragione, di inquinamenti clientelari.
I finanziamenti per la ricerca scientifica sono in continua diminuzione e di molto inferiori alla quota loro riservata dai paesi europei con i quali pure condividiamo politiche e obiettivi sociali. Ai giovani e promettenti laureati e' quasi negato, a priori e indipendentemente dai loro meriti, la possibilita' di accedere ai ruoli accademici. La piaga del precariato, in gran forma dentro l'Universita', svilisce e mortifica aspettative e speranze. La didattica, l'insegnamento, e' sotto lo schiaffo di continue innovazioni moderniste, spesso contraddittorie, approssimative e senza che, fino ad oggi, si sia fatta una seria e circostanziata verifica su cio' che ha prodotto la politica del "3+2", quella dei crediti di studio e la laurea triennale. Gli studenti sono smarriti, confusi, incapaci spesso di orientarsi in questo dedalo intricato di lauree brevi, master, specializzazioni, diplomi, eccetera. L'istituto del Dottorato di Ricerca (tra le novita' piu' interessanti introdotte dalla legge 382/80, insieme ai Dipartimenti scientifici) vede annualmente diminuire i propri fondi, soppresse le borse post-dottorato, svilire il valore del titolo sul piano extra universitario quanto accademico. Sarebbe assai facile allungare la lista dei mali che affliggono le nostre universita'.

Molti bravi docenti, dopo tanti anni di impegno generoso e disinteressato, si sono "ritirati" limitandosi a continuare a fornire una buona didattica ma disincantati e sfiduciati sul fronte del rinnovamento. Anche in questa universita' "abbandonata" al proprio destino, si stanno facendo avanti figure di "furbetti accademici", una nuova specie rampante, coloro i quali, cinici e disaffezionati, inventano mediocri Master, promettono attestati di successo nel cosiddetto "mercato" e illudono gli studenti che esistono scorciatoie che evitano la fatica dell'impegno di studio
Eppure e' da questa prestigiosa istituzione che continueranno ad uscire tecnici, ingegneri, manager, letterati, filosofi, scienziati cui spettera' il compito di progettare e realizzare il futuro del nostro bel paese.

Noi riponiamo fiducia nel Governo Prodi. I primi segnali ci lasciano intravedere segni di discontinuita' con la tragica conduzione politica del passato.

Caro Ministro dell'Universita' e della Ricerca scientifica, noi docenti universitari continuiamo a resistere e a sperare fiduciosi che questa prestigiosa istituzione abbia mura salde tali da poter garantire ancora una seria formazione ai giovani del nostro Paese e un avvenire, com'e' nella nostra tradizione, di una produzione scientifica alta. Noi ci aspettiamo da questo Governo non solo un segnale chiaro di ripresa, ma una vera e propria svolta attraverso un maggiore impegno finanziario per la Ricerca, regole certe di funzionamento e accesso alle carriere universitarie e soprattutto ai giovani piu' meritevoli. Noi metteremo la nostra ancora non esaurita energia nel tentare non solo di arginare il disfacimento ma, anzi, di avviare la ripresa. Questa volta, pero', non saremo spettatori passivi, ne' concederemo ad alcuno deleghe in bianco. Questo il compito, lo sappiamo, che ci spetta e questo vogliamo e continueremo a fare. Adesso tocca a Voi, nostri Rappresentanti eletti, incoraggiare, favorire e rendere possibili questi propositi; noi Le rivolgiamo, per parte nostra, un sincero augurio di buon lavoro.

Primi firmatari:
Branca Paolo, Budoni Alberto, Burghignoli Alberto, Campanella Luigi, Cellamare Carlo, Cellucci Carlo, Cenedese Antonio, Chiavola Agostina, Ciampoli Giuseppe, Colarossi Paolo, D'Amore Marcello, D'Arcangelo Enzo, Desideri Augusto, Giona Massimiliano, Marietti Piero, Onofri Marcello, Ottaviani Mario, Piva Renzo, Pugnaletto Maria, Rolle Enrico, Romano Giampaolo, Sabetta Filippo, Scandurra Enzo, Schianti Rosanna, Sciubba Enrico, Sestieri Aldo, Sonnino Eugenio, Storelli Franco, Tiberi Mario, Veca Giuseppe.

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Universita'. Le organizzazioni sindacali scrivono al ministro Fabio Mussi


All'on. Fabio Mussi, nuovo ministro dell'Universita' e della Ricerca, le Organizzazioni sindacali e le Associazioni rappresentative della docenza universitaria inviano i migliori auguri di buon lavoro.

Si tratta di auguri non rituali data la gravita' dei compiti che attendono il nuovo Esecutivo che dovra' fare i conti con eredita' estremamente pesanti, sia per la poverta' politica degli obiettivi finora perseguiti, sia per l'indisponibilita' ad un vero dialogo, sia per la scarsita' delle risorse attribuite all'Universita' ed alla Ricerca, sia per la qualita' delle norme introdotte per questo settore cruciale nella vita del Paese.

Per quanto riguarda l'Universita', la gravita' della situazione e' tale da richiedere un'ampia gamma di interventi, accogliendo le proposte avanzate dal mondo dell'Universita' in questi anni, in primo luogo dalle Organizzazioni ed Associazioni della docenza universitaria, ma anche dalle Organizzazioni del personale tecnico-amministrativo, dei precari, degli studenti. Di questi interventi, alcuni richiedono per il loro oggetto l'adozione dello strumento della legge ordinaria e quindi del relativo iter parlamentare, che - per quanto possa essere veloce - richiede i necessari
tempi politici e tecnici.

Vi sono pero' delle urgenze che possono trovare una risposta immediata o almeno piu' rapida nell'azione normativa autonoma del Ministero, urgenze che possono essere cosi' sintetizzate:

- affermazione del ruolo della Universita' nel campo della ricerca e dello sviluppo della innovazione, concentrando su questo versante l'impegno politico e di risorse economiche atte a avvicinarsi (meglio ancora a raggiungere) l'obiettivo di spendere il 3% del P.I.L. nella ricerca e nella innovazione. Questa e' una scelta non eludibile per ridare competitivita' al sistema paese;

- superamento del precariato; il fenomeno del precariato (comune anche al personale tecnico-amministrativo), per di piu' in forme molteplici e del tutto inadeguate ad un rapporto di lavoro, ha raggiunto nelle Universita' una dimensione quantitativa e qualitativa intollerabile: e' indispensabile uno sforzo eccezionale per bandire posti 'freschi' di ruolo per ricercatori, istituendo al piu' presto un'unica figura contrattuale pre-ruolo di breve durata (con un trattamento economico e normativo che ne assicuri la dignita'). Uno sforzo che richiede un grosso intervento finanziario straordinario aggiuntivo e che nell'immediato puo' essere iniziato utilizzando parzialmente le risorse esistenti, considerati i prossimi pensionamenti;

- approvazione della Carta dei diritti degli studenti;

- implementazione degli attuali meccanismi di valutazione, in attesa di una legge organica ad hoc, che non diventi strumento di ulteriore controllo gerarchico dei docenti, ai quali va garantita la liberta' di ricerca e di insegnamento;

- una pausa nel percorso di riforma della didattica e avvio immediato di una profonda valutazione dell'attuazione del "3+2", con il coinvolgimento dell'intera comunita' universitaria, prima di procedere ulteriormente;

- una rapida consultazione in ordine ai meccanismi concorsuali per la prima e la seconda fascia dei professori, per una nuova, urgentissima legge: qualunque cosa si pensi della relativa riforma Moratti, e' certo che questa comporta tempi cosi' lunghi e meccanismi cosi' farraginosi da sostanziare un vero e proprio blocco (in tempi di numerosissimi prossimi pensionamenti). Nella prospettiva della netta distinzione tra reclutamento e avanzamento nella carriera dei docenti, necessario e urgente e' considerare che gli attuali ricercatori costituiscono la fascia di ingresso della docenza;

- una riflessione sugli attuali criteri di attribuzione del Fondo Ordinario di Funzionamento, tenendo conto delle valutazioni del sistema e prendendo anche in esame le specifiche condizioni delle Universita' che insistono su territori profondamente differenti e che operano per il miglioramento culturale e sociale delle loro comunita' .

Questi pochi punti ovviamente si pongono solo come alcune delle urgenze piu' gravi e devono essere affrontati nel contesto piu' ampio di una grande azione di riforma. Le Organizzazioni sindacali e le Associazioni rappresentative della docenza in questi anni hanno espresso molte proposte gia' puntuali nei contenuti, ma il dialogo e' sempre stato rifiutato.

Oggi, all'inizio dell'operare del nuovo Governo, e' necessario instaurare un vero confronto tra il Ministro e le forze rappresentative della docenza, dei precari, degli studenti. Le Organizzazioni e le Associazioni della docenza universitaria manifestano tutta la loro piena disponibilita' ad incontrare il piu' presto possibile il nuovo Ministro.

ADI, ADU, ANDU, APU, AURI, CISAL-Universita', CISL-Universita', CNRU, CNU,
FIRU, FLC-CGIL, SNALS-Universita', SUN, UILPA-UR

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28.5.06

La prima riforma e' dell'universita'

il manifesto, 26 Maggio 2006

Il neoministro Fabio Mussi ritira le nuove "lauree a Y" di Moratti e annuncia: "Presto incontrero' gli studenti in un vero viaggio inchiesta in tutti gli atenei"
Matteo Bartocci
Roma
La controversa "laurea a Y" varata da Letizia Moratti in sostituzione del berlingueriano "3+2" e' stata sospesa con un tratto di penna dal nuovo ministro dell'universita' Fabio Mussi. Non si tratta del "carnevale degli annunci" tanto vituperato da Romano Prodi ma di un atto di governo ben concreto e dal chiaro significato politico: c'e' aria nuova a piazzale Kennedy, dove ha sede il Murst (ministero universita' e ricerca scientifica). E non solo perche' un ministro che pranza a mensa con gli impiegati e che il primo giorno dopo il suo insediamento fa una mega assemblea aperta a tutti di saluto e di "incoraggiamento" in quelle stanze non lo avevano mai visto, ne' con l'Ulivo ne' con la Casa delle liberta'.
Con una sorta di "berlinguerismo al contrario", nei giorni scorsi Mussi ha richiamato in sordina dalla Corte dei conti tre importanti decreti firmati da Letizia Moratti nei suoi ultimi giorni da ministro. Il primo (del 22 marzo) istituisce il doppio canale delle nuove lauree a Y : un anno comune che si biforca in un biennio "pratico-professionalizante" e un quadriennio "metodologico-specialistico". Una riforma che aveva provocato una vera sollevazione negli atenei, con tanto di dimissioni dai tavoli tecnici dei propri rappresentanti: si temevano effetti "marketing" e una generale dequalificazione dei corsi in serie A e serie B anche attraverso lauree scientificamente improbabili come quella, poi varata, in scienze criminologiche e della sicurezza. "Ho intenzione di rivederlo e di presentarlo con le dovute modifiche entro l'estate, in modo che tutti gli atenei possano partire con i nuovi corsi dal 2007", ha spiegato il ministro. I tecnici sono gia' al lavoro ed e' piu' che probabile che della riforma morattiana rimarra' ben poca memoria.
Gli altri due decreti sospesi invece sono stati varati dalla candidata a sindaco di Milano addirittura il giorno dopo le elezioni (il 216 e il 217 del 10 e 11 aprile) e riguardano il finanziamento delle universita' e i criteri di valutazione (ex post) per erogare i fondi. "Ho notato alcuni effetti collaterali indesiderati - rileva Mussi - una norma apparentemente inoffensiva attribuisce il 75% delle risorse al Nord, e soprattutto, in modo sospetto, a Milano, il 20 al centro Italia e soltanto il 5 da Roma in giu'".
Immediato cambio di passo anche sul piano simbolico. Dopo l'affondamento del grottesco ateneo "ad personam" Francesco Ranieri di Villa San Giovanni, Mussi si e' recato in visita alla Normale di Pisa, ateneo in cui si e' laureato nel 1972. Qui come ovunque l'attesa dopo i disastri morattiani e' grande. "Non credo al riformismo dall'alto, occorre guardare le persone negli occhi - dice Mussi incontrando con qualche commozione e tanti applausi le matricole della "sua" universita' - per questo faro' un viaggio inchiesta in tutti gli atenei italiani. Se penso a Moggi e ai furbetti del quartierino credo che la societa' abbia ribaltato i 'valori', questo governo provera' a mettere le cose a posto", assicura. Appuntamento fisso di tutte le visite infatti saranno gli incontri con gli studenti e con i precari, protagonisti degli scioperi e delle occupazioni anti-Moratti dell'autunno scorso: "Nelle universita' come nel mondo del lavoro di precariato ce ne deve essere di meno, perche' niente e' piu' contrario alla scienza". Tra i prossimi dossier sul tavolo del ministro - e del sottosegretario Luciano Modica - ce n'e' uno infine che riguarda il sistema delle universita' telematiche. Che l'"e-learning all'amatriciana"possa dare luogo a diplomi comprati a distanza non e' certo un mistero. Ma dal ministero per ora non trapela nulla di piu': si va avanti con i piedi di piombo e a piccoli passi.
C''e' preoccupazione invece per la situazione "catastrofica" dei finanziamenti alla ricerca. Lunedi' e martedi' il ministro sara' a Bruxelles per discutere di Programma quadro e di progetti europei, mentre lo staff lavora a un restyling del burocratico sito Web del ministero cercando di "aprirlo" agli studenti e alle famiglie. In fondo, "per governare questo paese - diceva Mussi prima di lasciare Pisa - sono necessarie grandi idee di cambiamento, idee forti, ma saggezza e prudenza nell'applicarle".

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24.5.06

Finanziamenti, crediti, laurea breve: perché i nostri Atenei sono al collasso

di Pietro Citati


Dalla riforma Berlinguer alle iniziative della Moratti
Distrutta ogni probabilità che l'Italia formi un'élite moderna



Negli ultimi sessanta anni, in Italia, sono accadute molte catastrofi: alluvioni, terremoti, inondazioni. Ma la catastrofe di gran lunga più grave è stata la cosiddetta Riforma Berlinguer, immaginata otto anni fa dal governo presieduto da Romano Prodi. Gli italiani, che hanno la memoria brevissima, se ne sono dimenticati: ma gli studenti, i professori, il paese ne subiscono il terribile effetto, che andrà moltiplicandosi nei prossimi anni. Mi riferisco alle facoltà di tipo umanistico: non a quelle a carattere sopratutto tecnico.
La Riforma Berlinguer ha distrutto e sta continuando a distruggere la probabilità che in Italia si formi quella che chiamiamo un'élite moderna. Non voglio ripetere cose notissime: ma senza un'élite colta e intelligente un paese non vive, non si sviluppa, non si arricchisce.

Senza un'élite, un paese è votato alla rovina: specialmente nei nostri anni, quando l'attività industriale si è in buona parte trasferita in Cina o in India, dove si sta diffondendo una cultura specializzata già superiore, per certi versi, a quella italiana. Ma all'onorevole Berlinguer, circondato dal suo radiosissimo alone di gloria, non importa nulla della nostra classe dirigente.
La catastrofe si preparava da anni. Ricordo un mediocre studioso di diritto romano lamentarsi dolorosamente, in qualche raduno televisivo, della mortalità universitaria. Non riuscivo a capire. Pensai che la Peste, o il Colera, o il Tifo, o l'Aids, o Ebola, avessero spopolato i folti banchi della Sapienza. Lo specialista di diritto romano rassicurò il pubblico: no, Ebola non era arrivato fin qui. Il danno era molto più grave. Gli studenti universitari non terminavano le facoltà che avevano iniziato: innumerevoli fuori-corso languivano nei tristi corridoi delle università italiane. Il professore sbagliava. Che soltanto il venti o il trenta per cento degli studenti di lettere giungessero alla laurea era un fatto positivo. Se si fossero laureati tutti, l'Italia avrebbe conosciuto una disastrosa disoccupazione scolastica. Così, invece, decine di migliaia di giovani ritornavano a Barletta o a Fabriano o a Alba o a Sanremo: vi aprivano un negozio di verdure o di formaggi o di tartufi o una piantagione di garofani, e trascorrevano volentieri il resto della vita, con nella memoria un vago ricordo di Omero, di Saffo e di Erodoto.

Mi chiedo se, alcuni anni dopo l'applicazione della Riforma Berlinguer, si possa fare qualcosa per diminuirne le conseguenze negative. Il primo fatto, generalmente riconosciuto, è che il corso minor di tre anni non serve a niente: dopo tre anni, lo studente non sa quasi nulla: non può insegnare nelle medie e nei licei; non gli resta (se ha imparato una lingua) che fare la guida turistica o lavorare in un'agenzia di viaggi, eventualmente aggiungendo ai tre anni universitari un master privato inutile e costoso.

Intanto, il complicato meccanismo di crediti e moduli, che regge l'insegnamento secondo il modello americano, ha dimostrato la propria inefficienza. Gli esami si sono triplicati: il lavoro dello studente è aumentato; salvo che egli impara pochissimo, perché non si può insegnare qualcosa di decoroso su Shakespeare o Petrarca nel corso di poche settimane. Non è possibile che La Sapienza di Roma stabilisca che, durante un modulo, uno studente non debba leggere più di 200 pagine (testi compresi), per evitare che le sue energie psico-cerebrali e quelle dei genitori e della fidanzata vengano irreparabilmente logorate ed esaurite. Il sistema dei moduli va limitato o reimmesso nel vecchio equilibrio degli esami annuali, che era molto più efficace. Forse andrebbe ricordato che l'uggioso edificio universitario, con le grandi aule squallide, i melanconici corridoi, le scale sbrecciate, ha un solo aspetto positivo: che vi si studi.

Dopo i tre anni di insegnamento minore, gli studenti dovrebbero affrontare i due anni di insegnamento specialistico: dico dovrebbero, perché coloro che li hanno abbracciati sono, per ora, pochi. Dopo i due anni di specialistica, può avvenire un concorso. Chi lo vince, diventa dottorando per tre anni, e riceve un piccolo stipendio. Ma dopo i tre due tre = otto anni di studio, la sua carriera è bloccata. Il dottorando è costretto a diventare, attraverso vari gradini, professore universitario. Ma se, all'Università, non ci sono posti liberi? O se egli preferisce insegnare nei licei? Questo gli è severamente proibito: i dottorandi, vale a dire i più colti e intelligenti tra gli studenti italiani, non devono insegnare nei licei, che pure avrebbero bisogno di loro.

C'è soltanto una possibilità. Seguire altri due anni di corsi di didattica: cosa assolutamente idiota, perché per imparare a insegnare basta un corso di due mesi, congiunto con la disposizione naturale per l'insegnamento, senza la quale nessuno diventerà mai professore. Non voglio nascondere che questo è un discorso puramente fantastico, perché per il dottorando non esistono, oggi, né posti nell'università né nei licei. Egli non troverà lavoro. Non farà niente. A meno che una vasta moria (la quale pare prevista dal nostro profetico Ministero) renda libere migliaia di cattedre.

Mi piacerebbe raccontare quali nuove cattedre l'onorevole Berlinguer e i successori e i funzionari ministeriali e i rettori di università e i presidi di facoltà e i direttori di dipartimento hanno inventato. Sappiamo che nelle università americane c'è la cattedra di gelato artigianale, di cappellini per signore, di jeans per ragazzi e ragazze, di sandali per i tropici, di computer applicati all'analisi letteraria, di retto uso dei pannolini, di bella conversazione e di corteggiamento erotico. Va benissimo. Quella non è università. Ma non sarebbe inutile ridurre radicalmente il numero delle cattedre insensate, che oggi vengono aperte nelle università italiane.

Una recente circolare del Ministro Moratti prescrive che i professori universitari devono fare almeno centoventi ore annue di lezioni frontali. C'è di nuovo, almeno per me, la difficoltà di capire. Cos'è una lezione frontale? Secondo i dizionari, frontale vuol dire: relativo alla fronte come parte anatomica: con la fronte rivolta verso chi osserva: visto di fronte: che avviene nella parte anteriore di uno schieramento militare: sezione realizzata secondo piani perpendicolari all'asse dorso-ventrale: facciata di una chiesa: mensola di un caminetto: piastra di ferro che chiude il fondo di un camino: parte della briglia che passa sulla fronte di un cavallo: antico ornamento femminile (cerchietto o nastro o filo di perle): parte dell'elmo; parte di metallo o di cuoio che copre la fronte del cavallo. Infine, quasi spossato dalla fatica ermeneutica, trovai nel Dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro (Paravia) la spiegazione giusta: frontale è un metodo di insegnamento, nel quale il professore siede in cattedra, di fronte ai suoi allievi. Non amo molto l'insegnamento frontale: può essere agevolmente sostituito dalla lettura di un buon libro.

La vera lezione, sebbene rivolta a non più di trenta studenti, è il cosiddetto seminario: soltanto nel seminario, compiuto in comune, il professore insegna agli studenti a leggere un testo, cercando insieme a loro le fonti e le allusioni e interpretandone le superfici e i segreti. Ma centoventi ore annuali di insegnamento frontale sono troppe: un vero professore deve leggere e studiare per conto proprio; ciò che esige infinito tempo e pazienza. Un ministro o un funzionario ministeriale o un preside pensano che questo sia inutile. È bene, invece, che un professore passi mattine e pomeriggi espletando del lavoro burocratico completamente assurdo, che il Ministero (visionario come tutti i Ministeri) gli impone.

Un'altra origine di insensatezza è la distribuzione dei finanziamenti, da parte del Ministero, alle diverse università. I criteri sono molti, e non posso elencarli tutti. Basterà ricordare che la qualità della ricerca è un criterio molto meno importante di criteri esterni, come per esempio il possesso di computer. L'Università Orientale di Napoli è il luogo che, in Italia, dedica più attenzione allo studio delle civiltà orientali. Quale importanza (anche pratica) abbia, oggi, lo studio delle lingue e culture araba e cinese, non è necessario ricordare. Ma l'Università Orientale ha anche una sezione "occidentale": un professore di questa sezione ha da poco espresso la seguente opinione: l'Università deve essere più ancorata ai bisogni del territorio; vale a dire, suppongo, che l'Orientale, invece di studiare il buddismo o il manicheismo, dovrebbe dedicarsi allo studio psico- sociologico della camorra a Caserta e Castellamare di Stabia.

Come è naturale, gli studenti che imparano la lingua e la letteratura persiana o turca sono meno numerosi di coloro che apprendono la letteratura italiana o inglese. Ma il Ministero provvede. Per il Ministero, non ha alcuna importanza che l'Università Orientale possegga una biblioteca di 200.000 volumi antichi, continuamente aggiornati, e che eccellenti studiosi vengano da Parigi o Tübingen a parlare ai giovani orientalisti. Ciò che è grave è che gli studenti siano relativamente pochi rispetto ai professori. L'Orientale va dunque punita per eccesso di serietà. Infatti, l'anno scorso, il Ministero dell'Istruzione ha tolto quattro milioni di euro al finanziamento dell'Orientale: una catastrofe. Così l'imprecisione, l'inesattezza, la cialtroneria, la demagogia - questo è per molti italiani la cultura moderna - si diffondono. Non saranno né imprecisi né inesatti i cinesi e gli indiani che, un giorno, verranno a colonizzare la cultura universitaria italiana.

(la Repubblica, 23 maggio 2006 )

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19.5.06

Il giuramento di Mussi

Non so se qualcuno ci ha fatto caso, ma mi sembra utile richiamare l'attenzione su una battuta del nuovo ministro dell'universita' e della ricerca scientifica, che al momento del giuramento, ostentando di esser capace di recitare a memoria la formula di rito, si sarebbe rivolto a Prodi affermando: "Si', a memoria, d'altra parte mi occupo di scuola". Puo' sembrare una battuta insignificante, tanto piu' che si sa che Fabio Mussi e' un simpatico fanfarone. Ma invece e' preoccupante, e non certo perche' forse Mussi non si e' accorto che la scuola e' stata scorporata dal suo ministero, bensi' perche' essa e' significativa della sprovvedutezza con cui si accinge a svolgere l'incarico che gli e' stato affidato. Del resto, in questo governo non e' l'unico caso di ministro prescelto per logiche che nulla hanno a che vedere con le competenze e con le attitudini del diretto interessato. E non saro' certo io a reclamare i tecnici, invece che i politici, per quelle che sono ed e' giusto che restino responsabilita' politiche. No di certo.
Il punto e' un altro. Temo infatti che il ministro Mussi non abbia capito qual e' oggi il problema che il suo ministero deve affrontare. Lo ha indicato con grande lucidita' Alberto Asor Rosa in un articolo apparso il 26 aprile scorso sulla Repubblica: la malattia in cui versa l'universita' italiana consiste nel fatto che sta diventando sempre di piu' una "scuola". Perche' la peculiarita' e il valore di questa istituzione sta nel legame costitutivo e nell'equilibrio delicato fra le due funzioni della ricerca scientifica e della formazione didattica. E da qualche tempo a questa parte, diciamo dalla riforma Berlinguer in poi, l'equilibrio e' saltato drammaticamente, nel senso che la ricerca e' stata sistematicamente svilita a vantaggio (si fa per dire) della didattica. Lasciamo stare qui i motivi e le conseguenze di questa involuzione. Ma e' necessario e urgente che si avvii (almeno un inizio di) una inversione di tendenza. Dunque, se, come io credo, questo e' il problema serio cui si trova di fronte il nostro sistema universitario, la battuta di Mussi non risulta tanto divertente, anzi assume un significato inquietante.
Del resto, non e' un caso che in molti, fra noi operatori universitari, avessero sperato che si avverasse l'ipotesi, ventilata nei giorni scorsi, di una nomina di Asor Rosa in quel posto. Una speranza che non era suscitata dalla preferenza per un tecnico (anche Berlinguer lo era, purtroppo), ma esattamente dal fatto che Asor aveva enunciato un programma o almeno un approccio ai problemi universitari, e questo ci era sembrato convincente ai fini dell'inversione di tendenza di cui sopra. Invece la sua candidatura e' stata scartata, a quanto si dice per un veto opposto nei suoi confronti dalle comunita' ebraiche. Il che, se fosse vero, sarebbe ancora piu' inquietante rispetto a una esclusione per motivi pertinenti, cioe' per le opinioni di Asor in materia di universita' e ricerca scientifica. Se poi colleghiamo questa vicenda con quella della nomina di Fioroni al dicastero (scorporato) della pubblica istruzione, verrebbe quasi da pensare che il sistema formativo nel nostro paese sia diventato appannaggio delle confessioni e delle lobby religiose. Se per la scuola sembra che non si possa fare a meno dell'avallo della Chiesa cattolica, e per l'universita' e la ricerca si soggiace perfino alle pressioni delle comunita' ebraiche, viene per lo meno il dubbio che alle attuali forze di governo queste istituzioni non interessino poi molto. Spero che Mussi mi faccia ricredere.

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18.5.06

Fioroni, un dc doc al capezzale della scuola pubblica

Un medico viterbese il successore della ministra Moratti

Democristiano, anzi andreottiano, cosi' dicono di lui. 48 anni, medico internista al Policlinico Gemelli di Roma, Giuseppe Fioroni e', da ieri, il nuovo ministro dell'Istruzione. Nella sua Viterbo, non a caso la "Citta' dei papi", sara' velocissimo da scout a sindaco in pochi anni, passando per i giovani della Balena bianca. Nel '96 viene eletto alla Camera e quando il Ppi si spacca, Fioroni si schiera con Marini anziche' con Buttiglione. L'ex leader Cisl ricambiera' il favore impuntandosi sul suo nome nelle recentissime trattative con Prodi. A far fuori Rosi Bindi ci avrebbe pensato Rutelli: "Se lo date a lei (troppo prodiana, ndr) - avrebbe detto - e' come se non lo aveste dato alla Margherita". Fioroni, invece, e' molto conservatore e, appunto, molto andreottiano. Velina rossa fara' dire a un sorpreso Castagnetti che sarebbe addirittura un "integralista". Poi l'ex segretario Ppi smentisce.

A leggere il curriculum saltano agli occhi gli incarichi legati alla sua professione: Federsanita' Anci, consigliere d'amministrazione dell'Ispesl, capo dipartimento Enti locali della Margherita. Si', ma la scuola? L'unica competenza sembra essere l'andreottianita'. "Se a questo aggiungiamo che il suo partito e' contrario all'abrogazione della legge Moratti c'e' di che essere allarmati", sbotta Piero Bernocchi, leader storico dei Cobas della scuola. Nessun segnale, per ora dalla Flc-Cgil che pero' non gradisce il divorzio dell'istruzione dall'universita'. Quest'ultima, pero', e' affidata a Fabio Mussi, ds ma di sinistra e laico. Su di lui s'erano appuntate, nelle ultime ore, le speranze del popolo della scuola pubblica. Intanto, Fioroni giura e dichiara che ridara' prestigio agli insegnanti e si appresta a prendere possesso degli uffici di Viale Trastevere. "In ogni caso dovra' attenersi al programma dell'Unione - spiega Loredana Fraleone, della segreteria nazionale Prc - perche' la scuola non e' in smobilitazione e ha dimostrato di non farsi condizionare dalla collocazione politica dei ministri e di esprimere una sua autonomia che si lega al dettato costituzionale". Il primo sciopero e' gia' fissato a Milano contro i tagli degli organici. E un appello del tavolo "Fermiamo la Moratti" chiede al nuovo governo misure urgentissime per bloccare il decreto sulle superiori e ripristinare il tempo pieno.

Che. Ant.

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di Orio: L'universita' al bivio, occasione di rilancio

Subito una "piattaforma" o il declino sara' inarrestabile
Ferdinando di Orio*

L'universita' italiana si appresta a vivere due eventi che, nel loro casuale intrecciarsi, rappresentano anche simbolicamente autentici "momenti di verita'": dalla formazione del governo, che in queste ore si va definendo, e dalla elezione del Presidente della Conferenza dei Rettori Italiani (Crui), fissata per giovedi' 18 maggio, si potranno determinare le condizioni per il rilancio di un settore strategico per il futuro del Paese.
L'universita' si dibatte, infatti, in una "crisi di sistema", che rischia di preludere ad un inarrestabile declino. Anche per difetti di comunicazione, il sistema universitario nazionale non e' riuscito a far percepire ai governi che si sono succeduti e all'opinione pubblica la gravita' dei suoi problemi. Per le risorse destinate alla ricerca, per il numero dei ricercatori, per il rapporto docenti/studenti, per la spesa dello Stato per laureato, l'Italia e' ai livelli piu' bassi nel contesto europeo.

Secondo i dati Eurostat relativi al 2003, gli unici confrontabili su tutti i 25 paesi dell'Unione Europea, l'Italia con l'1,14% del Pil e' al 15° posto per le risorse destinate alla ricerca, di gran lunga al di sotto della media europea (1,92%). Il rapporto studenti/docenti e' il piu' basso d'Europa (un docente ogni 32 studenti, contro i 17 del Regno Unito, i 18 in Francia, gli 11 in Germania e i 17 in Spagna) e il numero dei docenti nei prossimi cinque anni diminuira' di 800 unita' all'anno e molti di piu' a partire dal 2009. Il costo del personale, tutto a carico degli atenei come pure gli oneri derivati dagli incrementi stipendiali decisi a livello centrale, e' aumentato del 77% ed e' superiore a quello dei finanziamenti statali (74%) al sistema universitario nello stesso periodo.

L'azione del governo Berlusconi ha aggravato questa crisi, perseguendo una strategia politica funzionale alla valorizzazione esclusiva delle universita' private e attuando una riforma dello stato giuridico dei docenti che, per le sue caratteristiche regressive, e' stata rifiutata da tutte le componenti del sistema.

Alla luce di tutto cio' e nel momento in cui l'universita' si appresta a vivere i due appuntamenti prima ricordati, non e' piu' rinviabile un dibattito trasparente sul suo futuro in grado di coinvolgere il mondo politico e quello accademico. Si tratta di individuare una "piattaforma" condivisa di valori irrinunciabili, sui quali costruire un nuovo progetto di universita' caratterizzato da adeguate risorse e da nuovi strumenti legislativi, organizzativi e gestionali.

E' necessario, innanzitutto, riaffermare il principio costituzionale dell'autonomia dell'universita', nei suoi istituti normativi e nelle sue caratteristiche sostanziali di indipendenza e autorevolezza nei confronti dell'esecutivo, delle altre istituzioni, dell'opinione pubblica, del Paese nella sua globalita', da esercitare in modo strategico e con spirito propositivo e propulsivo. Deve essere poi valorizzato il sistema universitario pubblico, interrompendo definitivamente la prassi, contraria allo spirito costituzionale, di finanziare le universita' private a danno di quelle statali e impedendo l'istituzione di universita' senza alcuna qualificazione accademica o di dichiarata impostazione confessionale integralistica.

Non meno importante, in tal senso, e' la difesa della laicita' del sapere e della ricerca scientifica, messa in discussione dal ritorno di una cultura fondamentalista, che ha ispirato prima la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita e ha poi spinto all'astensione al voto nel successivo referendum abrogativo, mortificando la lotta di tante donne per il riconoscimento di un vero diritto alla salute.

In questa piattaforma valoriale, deve essere inserita anche la difesa del valore legale del titolo di studio che rappresenta, in un sistema di generale precarizzazione del mondo lavoro, la migliore garanzia (l'ultima?) in grado di assicurare reali condizioni di uguaglianza per tutti i cittadini nell'accesso al mondo delle professioni. La sua abolizione rappresenterebbe l'ultimo e piu' pericoloso attacco al sistema formativo nazionale pubblico e la definitiva legittimazione di quello privato.

L'esplicita condivisione di questi principi rappresenta il presupposto fondamentale per individuare risorse e strumenti per il rilancio dell'universita' che, altrimenti, sarebbe di corto respiro e sottoposto ai condizionamenti di logiche esterne al sistema, ispirate da interessi forti e lobbies di potere.

E' in questa prospettiva che devono essere incrementati gli investimenti sulla ricerca, la cui quota sul Pil deve essere portata almeno agli standard fissati dagli accordi di Lisbona, e devono essere introdotti meccanismi e incentivi per compensare le disuguaglianze finanziarie e strutturali tra atenei, soprattutto del Mezzogiorno, che si ripercuotono negativamente sulla realizzazione di un reale diritto allo studio per tutti gli studenti italiani.

Il ripensamento della "svolta aziendalistica" impressa negli ultimi anni al sistema non deve tuttavia comportare la rinuncia alle potenzialita' positive legate a tutti gli strumenti individuati per la valorizzazione economica dei nuovi saperi e per la loro trasformazione in risorsa strategica per il territorio (fondazioni, spin-off, ecc.).

Tra gli strumenti legislativi, e' fondamentale affrontare il nodo dello stato giuridico della docenza, soprattutto in riferimento al giusto riconoscimento di una terza fascia docente non ad esaurimento, evitando ogni tentazione riformistica della legislazione Moratti, sia per i suoi contenuti sia per le modalita' con le quali e' stata proposta e pervicacemente sostenuta contro tutto il mondo universitario.

Deve essere quindi rivisto il sistema dei concorsi, prevedendo la distinzione tra reclutamento ed avanzamento di carriera e risolvendo il problema del precariato. Tra gli strumenti organizzativi e gestionali, l'istituzione di un'Agenzia nazionale della Ricerca Scientifica sul modello francese puo' rappresentare il volano fondamentale per lo sviluppo di tutto il settore. La necessaria revisione della governance degli atenei deve essere perseguita sulla base dei principi irrinunciabili dell'autonomia, della suddivisione dei poteri e della chiara attribuzione delle responsabilita', rifiutando ogni proposta ispirata da chiare impostazioni di tipo imprenditorialistico.

In questo contesto la Crui, quale organo di rappresentanza dei Rettori, deve rivestire un ruolo finalizzato alla promozione dello sviluppo del sistema universitario, ben distinto da quello degli altri attori istituzionali (ministero, Cun, associazioni di categoria e sindacali) e da quello di un organo elettivo di autogoverno del sistema nazionale delle universita'.

Sono dunque questi i punti principali da mettere all'ordine del giorno dei futuri lavori del prossimo governo e del prossimo Presidente della Crui. Dalle strategie adottate per la loro interpretazione e soluzione dipendera' il rilancio strategico dell'universita' italiana, nella comune consapevolezza che il declino degli studi, della cultura e della scienza anticipa e determina quello di un intero Paese.

*Rettore dell'Universita' degli Studi dell'Aquila

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4.5.06

Questa universita' malata

26 aprile 2006 - la Repubblica

Alberto Asor Rosa


L'Universita' italiana e' malata: gravemente. Da questa diagnosi pochi dissentono. Sulle cause del male, e sui rimedi conseguenti, le opinioni si moltiplicano e, ovviamente, divergono. Nessuno, pero', - nessuno nel senso letterale del termine, - ne indica una, che e' al tempo stesso la piu' semplice e la piu' decisiva. L'Universita' (almeno quella italiana) e' un sistema binario; svolge e produce ricerca; realizza e offre formazione e didattica. Il sistema ben funzionante tiene in equilibrio e mette in rapporto le due cose; va in rovina invece quello in cui uno dei due canali prevale troppo nettamente sull'altro.


Non s'e' mai visto, se non nei bei tempi andati (e anche allora in una forma molto particolare), che nel sistema universitario italiano la ricerca prevalesse sulla formazione e la didattica. Piu' frequentemente e' accaduto il contrario. L'introduzione della legge di riforma degli ordinamenti didattici, conosciuta come legge Berlinguer, ha accentuato enormemente tale tendenza, soprattutto nei settori umanistici ed economico-sociali. Una Universita' in cui la didattica prevalga nettamente sulla ricerca, fino al punto di soffocarla, diventa una grossa Scuola Media superiore, con tendenza al degrado. Questa e' la strada su cui si avvia l'Universita' italiana.

Anche di questa fenomenologia si possono dare diverse spiegazioni e suggerire diversi rimedi. Io indichero' delle une e degli altri la piu' semplice e il piu' semplice, perche' ambedue strutturali: riguardanti cioe' il modo d'essere, istituzionalmente parlando, dell'Universita' italiana attuale. Il Dpr 382 del 1980 (attenzione: piu' di venticinque anni fa, poi piu' nulla), introduceva, interpretando una legge parlamentare, le uniche modifiche sostanziali nella struttura dell'Universita' italiana dopo le leggi fasciste, e cioe': i Dipartimenti («strutture primarie e fondamentali per la ricerca, omogenee per fini e per metodi», autonome e indipendenti rispetto alle Facolta' e dotate percio' di un governo proprio); e i Dottorati di ricerca (cui veniva affidato il compito dell'alta specializzazione post lauream). Inoltre, quel Dpr rafforzava e disciplinava il finanziamento dello Stato per la ricerca scientifica alle singole Universita', traducendo in pratica una precisa intenzione del legislatore. Alle Facolta', articolate nei Corsi di studio, restava il compito di organizzare la formazione e la didattica (essendo oltre tutto, com'e' ovvio, insufficienti le competenze disciplinari del singolo Dipartimento a formare un profilo professionale).

Ora, la mia tesi e' che da quel Dpr non si e' andati avanti: anzi, si e' tornati indietro. E cioe': non c'e' stato nessun ulteriore tentativo, ne' legislativo ne' locale, di armonizzare il sistema binario che in tal modo s'era creato. La forza inerziale delle abitudini e la pressione conservatrice dei gruppi di potere accademici hanno fatto il resto. In campi come questo preferisco parlare di fatti, e i fatti sono questi. Se il sistema e' binario, bisognerebbe fosse governato, in ognuno dei suoi snodi e soprattutto al vertice (Senato accademico e Consiglio di amministrazione) da una rappresentanza paritetica delle due funzioni fondamentali, e cioe' ricerca e didattica. Nemmeno per sogno. Le Facolta', - oltre tutto generalmente organismi pletorici e disomogenei, e percio' piu' facilmente controllabili da logiche di potere, - filtrano e dominano le funzioni piu' decisive (per esempio, le chiamate) e gestiscono fondamentalmente la rappresentanza negli organismi centrali. Non credo che sia mai diventato Rettore di una Universita' italiana un Direttore di Dipartimento: a quella carica si accede solitamente passando per la Presidenza di una Facolta'.

Ovviamente la Crui (Conferenza dei rettori delle Universita' italiane), massimo organo di gestione dell'autonomia universitaria, e' formata di Rettori, che sono stati tutti Presidi (e anche, per la precisione, tutti maschi, salvo un'eccezione, se non erro). Questo dunque ha significato che per venticinque anni la ricerca, - di cui si dovra' riconoscere che e' il motore e l'alimento della didattica, - ha dovuto lottare per farsi strada nel ginepraio di un sistema incompiuto. Voglio dire: l'impoverimento culturale, che ne e' seguito e che oggi e' sotto gli occhi di tutti, e' altrettanto strutturale della causa che lo ha provocato. Qualcuno oggi studia perfino come riassorbire i Dipartimenti nel sistema-Facolta' (potrei fare degli esempi).

In questo quadro diventa comprensibile che si spostino perfino i segnali della (cosiddetta) produttivita' universitaria sui fattori piu' esterni della stessa. Per esempio, e in modo totalitario e analiticamente ingiudicabile, sul numero degli studenti iscritti e/o laureati. Ne deriva pressoche' automaticamente la proliferazione, favorita dalle Facolta', di Corsi di Studio (e Master), la cui funzione e' fondamentalmente quella degli specchietti delle allodole per gli studenti (gli ambiti piu' frequentemente esibiti in questa galleria delle innovazioni sono la moda, il turismo, lo sport, la tv, il mercato culturale, ecc.).

Altra cosa sarebbe, ovviamente, la creazione di un serio sistema di valutazione della ricerca (nei diversi ambiti e, io direi, con diversi criteri). Cioe': all'Universita' ci si puo' vendere, ma solo fino ad un certo punto, e non come priorita'. Il Mercato! ecco l'altra grande parola magica dell'attuale situazione d'incertezza e di sfascio: chi piu' vende la propria merce, avrebbe piu' valore. Ma questa regola non funziona nel sistema binario finora descritto. Ecco: la funzione dell'Universita' italiana, che e' e resta squisitamente "pubblica" (e non privata), deve servire a ristabilire la corretta gerarchia dei valori. Alcuni hanno pensato, riflettendo su questa situazione, all'istituzione di una serie di organismi di alta specializzazione, che si collocherebbero di fatto piu' a lato che non dentro il sistema universitario italiano. Naturalmente nulla di cio' che si presenta e vuol essere buono va rifiutato. Ma chi arrivera' fra i giovani (e come, e in quali condizioni) all'alta specializzazione, riuscendo a trarne giovamento? e' nel corpo gigantesco e unitario dell'Universita' italiana, - al livello e in connessione con i corsi normali, - che l'intervento a favore della ricerca e di chi la rappresenta andra' operato. Perche', se il sistema non ritrovera' rapidamente il suo equilibrio, presto sopravverra' l'asfissia.

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