25.11.06

Approfondimenti sulla democrazia

Questa volta non ho materiale abbastanza interessante (per chi e' interessato, ovviamente) da proporvi per gli approfondimenti, ma eccovi qualche piccolo consiglio per orientarvi nel grande mare di internet. Infatti, se si prova a fare una ricerca nel web sul tema democrazia, si rischia facilmente di perdersi. Ho cercato di evitare, per quanto possibile, il materiale in inglese, ma anche in questo caso ci sono riuscito solo in parte (prima o poi dovrete impararlo). Ecco dunque i miei 6 consigli:
1) Innanzitutto, andate a leggervi la voce (breve, ma davvero ben fatta) proposta da Wikipedia in italiano: Democrazia. Una conferma del fatto che, malgrado tutti i legittimi dubbi, si tratta di uno strumento davvero efficace. A proposito, sapete cos'e'? Se non lo sapete ancora, leggete qui. Anzi, a questo punto perche' non vi cimentate anche voi, e ad esempio provate a migliorare proprio la voce sulla democrazia?
2) Andate al sito di Hyperpolitics (e' tra i links fissi del mio blog, ma nessuno l'avra' notato), dove tra l'altro potrete consultare le voci sulla democrazia dei principali dizionari politologici.
3) A proposito, per chi fosse interessato ad approfondire il concetto di democrazia dal punto di vista teorico-filosofico, consiglio vivamente di seguire I Venerdi' della politica, dedicati al tema Che cos'e' la democrazia (e organizzati dalla Societa' di studi politici). E' un'occasione da non perdere, visto che si tengono a Napoli (alla Feltrinelli).
4) Ecco due begli interventi del liberale Gustavo Zagrebelsky:
- Insegnare la democrazia.
- La democrazia di Barabba.
5) Sul tema della democrazia schumpeteriana, ci sono due ottime lezioni del corso online di G.E. Rusconi (emerito professore di scienza politica torinese) al seguente indirizzo:
Schumpeter: un'altra dottrina della democrazia.
6) Infine, e' obbligato un rinvio anche ai due piu' autorevoli istituti di ricerca che svolgono regolarmente rilevazioni e valutazioni sulle democrazie reali:
- International Institute for Democracy and Electoral Assistance (IDEA).
- Freedom House.

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22.11.06

Domani niente lezione

Giovedi' 23 novembre non si terra' la lezione di Scienza politica e Politica comparata. Ci vediamo martedi' prossimo.

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17.11.06

Scuola, universitari in corteo in tutta Italia

ROMA - Sono 250.000, secondo i dati forniti dall'Unione degli studenti, gli universitari che hanno partecipato oggi in tutta Italia alla manifestazione studentesca mondiale "17 novembre, International student's day of action". Secondo la stessa fonte, a Roma hanno sfilato in corteo in 15.000, in 30.000 a Napoli, 20.000 a Milano e 15.000 a Firenze. A indire una giornata di protesta contro i tagli della Finanziaria subiti dalle universita' e dagli istituti di ricerca sono stati inoltre i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil. E inoltre uno sciopero generale e' stato indetto dai Cobas per contestare i tagli della Finanziaria.

"Oggi c'e' stata un'importante manifestazione con studenti, insegnanti universitari, personale e ricercatori - ha commentato al termine della mattinata il ministro per l'Università e la Ricerca Scientifica Fabio Mussi - in cui si e' voluta richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla centralita' della formazione superiore e della ricerca scientifica. Centralita' per l'avvenire del Paese. Io voglio assicurarli che il governo condivide questo richiamo e conosce bene importanza del tema che hanno sollevato".

Mussi ha aggiunto: "Abbiamo alla fine trovato 230 milioni, molti di piu' di quanti preventivati nella manovra, ma se abbiamo fatto il possibile non abbiamo fatto quanto necessario: con questi fondi si torna in pareggio rispetto all'anno precedente".

A Roma si sono tenuti tre cortei, uno indetto dall'Unione degli studenti, uno dai confederali e l'altro dai Cobas. "Bisognava salvaguardare gli investimenti su universita' e ricerca e fare sacrifici in tutti gli altri settori", ha detto, nell'intervento conclusivo del corteo in piazza Navona, il segretario della Cgil Guglielmo Epifani.

Il segretario della Cgil ha ricordato, parlando alla piazza, che "il programma di governo faceva di questi settori il cuore del cambiamento". "Dopo i disastri del precedente governo, tutto ci saremmo aspettati - ha lamentato con forza il segretario - tranne che il governo non assumesse, con la forza e la coerenza necessari, la centralità di questi settori e di questa sfida".

"Stiamo riempiendo piu' di cento piazze in Italia per dire non solo che questa Finanziaria non ci soddisfa perche' ci sono tanti tagli, ma anche per gridare che vorremmo una discontinuita' con il centrodestra", ha detto al termine del corteo di Roma Roberto, dell'esecutivo nazionale dell'Uds (Unione degli studenti), tra gli organizzatori dell'"Internazionale student of action".

Chiare le richieste dell'Uds: "Una maggiore partecipazione degli studenti alla vita scolastica e un maggiore investimento per la scuola. A partire proprio dl diritto allo studio. Gridiamo il nostro no a chi da' i soldi alle scuole private anche perche' non e' giusto che ci sia una scuola classista, ma una scuola di tutti e per tutti".

Grande anche il seguito dello sciopero generale contro la Finanziaria indetto dai sindacati di base, dai Cobas e dalle Rdb. Secondo gli organizzatori avrebbero aderito un milione e mezzo di lavoratori, in particolare i precari, nei settori pubblico e privato. Nella capitale (ed e' stato questo il terzo corteo nella stessa mattinata) hanno manifestato in 25.000.

(la Repubblica.it, 17 novembre 2006)

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Il fallimento dell'universita'-azienda

di Alessandro Dal Lago

(tratto da il manifesto del 17/11/2006)

La riforma Berlinguer e' servita solo ad allungare la durata degli studi e a mantenere un potere baronale a spesso autoreferenziale. E gli studenti? Si comportano come a un supermarket, prendono quello che gli serve e vanno via

Chi e' vecchio del mestiere accademico sa benissimo come e' andata. La riforma "3+2", al di la' di tutte le chiacchiere formative, la retorica mercantile e il terrificante linguaggio aziendalistico, e' servita ad allungare la durata degli studi (da una media di quattro a cinque anni nominali, cioe' a sei-sette reali). Il carico didattico per gli studenti, in virtu' del meccanismo dei crediti, e' aumentato fino a cinquecento ore di lezioni in aula. Questo significa semplicemente che l'universita' italiana e' diventata, nel caso migliore, un college, una sorta di grande scuola preparatoria (ma a che?). D'altra parte, basta considerare il tipico manuale pubblicato dalle case editrici universitarie: un libretto di 120 pagine e bibliografia di dieci titoli, in cui si concentrano le nozioni di corsi o "moduli" di 20 o 40 ore. Una didattica asfissiante, generica, frammentaria. Ma se e' andata cosi' non e' solo per il velleitarismo delle lobby pedagogico-aziendalprogressiste che premevano dietro Berlinguer (basterebbe andare a vedere la composizione delle apposite commissioni per comprendere l'ideologia della riforma), ma per ragioni molto concrete, che si possono compendiare nella possibilita' di espansione offerta ai gruppi accademici. e' semplice: se per la mia materia e' previsto il doppio o il quadruplo di ore, all'inizio cerchero' di coprirla io, poi mi faro' dare un professore a contratto e alla fine bussero' al preside in cerca di posti, che prima o poi la facolta' mi dara'. Ed ecco perche' la "3+2" e' stata il risultato di incessanti negoziati, nelle apposite commissioni nazionali, tra potentati accademici. I piani didattici - le famose tabelle - non erano altro che schemi piu' o meno cifrati per lo sviluppo delle discipline, e quindi delle relative cattedre che si profilavano all'orizzonte. Cinismo? Ma no, realismo. Il problema non risiede nella psicologia professionale, nella baronalita', ma nell'organizzazione che favorisce, da sempre, l'uso dell'universita' ai fini dell'accrescimento del potere di chi ci sa fare. Attenzione: non sto dicendo che l'universita' sia solo questo. e' chiaro che una base di serieta', di autentica passione per il proprio lavoro, perfino di disinteresse, c'e', probabilmente in ogni struttura accademica, anche se a macchia di leopardo. Diciamo che il gioco del potere e' essenziale per quanto riguarda la riproduzione strutturale dell'universita', dall'ammissione al dottorato all'elezione dei rettori. Ma di che potere si tratta? In larga parte simbolico, se non immaginario. Con l'eccezione delle facolta' di medicina, che gestisconouna buona parte dei sistemi ospedalieri, e della ricerca nei settori hard o finalizzati al mercato, il potere che offre la struttura universitaria ai baroni e' largamente autoreferenziale: essere riconosciuti, far trionfare la propria visione scientifica o culturale del mondo, scegliere gli allievi, imporsi ai concorsi, cioe' far fare carriera ai propri allievi come qualcuno l'ha fatta fare a noi. Un professore universitario sa bene che il riconoscimento (se non scrive sui giornali o non pubblica romanzi) e' circoscritto al suo piccolo mondo. Ma se ne nutre, perche' e' la sua ragion d'essere. Vive di riconoscimento, proprio come un'auto ha bisogno di benzina. Se fosse tutto qui, si tratterebbe dell'aspetto patetico di ogni professione pubblica (ma si', l'approvazione, la recensione, la citazione, la comparsata in Tv). Ma io credo che, conoscendo i propri polli, il sistema politico (in cui non a caso approdano tanti professori universitari) abbia da sempre sfruttato questo spasmo - il bisogno di riconoscimento - per far trangugiare le riforme piu' omeno insensate. L'aumento dell'"offerta formativa" (lauree e quindi posti potenziali) e le ondate di concorsi promossi da Berlinguer hanno di fatto tacitato il mondo accademico, mentre avvenivano trasformazioni di cui probabilmente avvertiremo le conseguenze per decenni. Per cominciare, salvo qualche protesta simbolica dei rettori, nessuno si e' mobilitato davvero contro unsistema che riduceva progressivamente i finanziamenti proprio mentre veniva attuata la riforma; ed ecco i corsi di soli docenti a contratto o quasi, le specializzazioni fantasma, le biblioteche senza libri, idipartimenti senza computer, le universita' a caccia di studenti nelle piu' remote valli, i master privi di senso - in cui si insegnano le stesse cose delle specialistiche,ma a uncosto quadruplo, a dir poco - gli inutili corteggiamenti all'impresa, che ovviamente si disinteressa allegramente della ricerca e della formazione, se non quando serve ai propri scopi piu' o meno immediati. Una situazione depressiva a cui i quattro soldi riservati dalla finanziaria non porranno certamente rimedio. Ma soprattutto l'ideologia della riforma e' la vera responsabile della sensazione di crisi e di inutilita' che pervade l'universita' italiana; a furia di sentirsi dire che sono clienti, che i loro studi sono valutati in termini di crediti e debiti, che hanno un "contratto formativo" ecc. ecc. gli studenti hanno cominciato, giustamente, a comportarsi come visitatori di un supermercato. Prendono quello che gli serve, o che credono tale, e se ne vanno. Se non hanno di meglio da fare, vengono a lezione, altrimenti no. E perche' dovrebbero fare altrimenti? Quando mai nelle micidiali carte che hanno accompagnato la riforma, a partire dal famoso documento Martinotti, e' stato detto che all'universita' si va per apprendere metodi, stili e conoscenze utili a una futura professione, ma non strettamente professionali, e soprattutto per acquisire, per cosi' dire, una cittadinanza intellettuale, analitica o scientifica? Che le scienze della comunicazione non dovrebbero essere pensate solo per produrre "comunicatori", le lettere moderne per creare insegnanti di scuolamedia, la matematica per le aziende di informatica, la biologia per le analisidi laboratorio e la filosofia per quest'altra geniale trovata, la consulenza filosofica? Lo sappiamo tutti che andra' cosi', come e' sempre andata cosi', ma che universita' e' quella in cui non si coglie l'opportunita' di curiosare, indagare, studiare, approfondire, conoscere per il gusto di farlo, per passione o vocazione? Esattamente comeavviene in tutti i campi che rendono la vita degna di essere vissuta? Se qualcuno tra gli astuti ideatori della riforma - esperti di sistemi scolastici, pedagogisti, studiosi di formazione, consulenti aziendali ecc. - leggera' mai queste righe, sghignazzera' per il loro "romanticismo". C'e' da chiedersi pero' dove sia il loro senso pratico, il loro realismo, la loro lungimiranza, visto quello che l'universita' italiana e' diventata negli ultimi anni, anche se non esclusivamente a causa della riforma. In sostanza, un sistema di riproduzione e trasmissione di un sapere medio, non troppo avanzato ne' troppo arretrato, burocratizzato, aziendalistico (anche se alla buona, all'italiana), disponibile, gia' da ora, alle piu' ambigue sponsorizzazioni purche' portino un po' di denaro fresco. Si poteva fare diversamente? Certamente si, se i gruppi che hanno promosso la riforma - non dimentichiamolo, invenzione del centrosinistra - invece di partire dall'aziendalismo riformista, dalla confusa mitologia della terza via, fossero partiti da un'autentica conoscenza dei sistemi universitari piu' sviluppati, dalla ricognizione dei bisogni delle nuove generazioni, da una serena analisi dei meccanismi di riproduzione del potere accademico, al limite da qualche principio culturale non finalizzato al mercato. E dire che tra loro i sociologi non mancavano! Ma tant'e'. E non mi sembra il caso di nutrire troppo speranze. Se un premio Nobel quasi centenario deve minacciare di far cadere la maggioranza per quattro soldi destinati alla ricerca, proprio mentre il governo di centro-sinistra aumenta i fondi destinati alle spese militari (per i caccia-bombardieri, notoriamente indispensabili alla nostra sicurezza), che ci aspettiamo sull'universita'?

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10.11.06

Prenotazioni per il 22 novembre


Scienza Politica e Politica Comparata:
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Altri insegnamenti di v.o., triennale e specialistica:
Civale Anna SP/10953
Mancino Marcella RPI/90
Salvo Ida SD/1370

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Approfondimento: Imperialismo

dal "Dizionario della lingua italiana" di De Mauro:

imperialismo, s.m.
1a CO TS polit., tendenza di uno stato a espandere i propri domini e a esercitare la propria egemonia su altre nazioni
1b CO fig., tendenza a imporre i propri modelli culturali, politici, economici e sim.: i. occidentale, americano
2 TS econ., fase del capitalismo caratterizzata dal prevalere del capitale finanziario e dagli investimenti all'estero

Per un inquadramento generale, vedi: Imperialismo (Wikipedia).

Segnalo inoltre che e' stata appena messa (integralmente) on line, beninteso in inglese, la classica opera dell'economista liberale J.A. Hobson: Imperialism: A Study (1902).

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Approfondimento: Totalitarianism

Totalitarianism is a form of government in which all societal resources are monopolized by the state in an effort to penetrate and control all aspects of public and private life. This control is facilitated by propaganda and by advances in technology.

Both in theory and practice, totalitarianism is of relatively recent origin. First used to describe the organizational principles of the National Socialist (Nazi) party in Germany, the term gained currency in political analysis after World War II. Older concepts, such as DICTATORSHIP and DESPOTISM, were deemed inadequate by Western social scientists to describe this modern phenomenon.

Principal Features

Totalitarian regimes are characterized by distinctive types of ideology and organization. Totalitarian ideologies reject existing society as corrupt, immoral, and beyond reform, project an alternative society in which these wrongs are to be redressed, and provide plans and programs for realizing the alternative order. These ideologies, supported by propaganda campaigns, demand total conformity on the part of the people.

Totalitarian forms of organization enforce this demand for conformity. Totalitarian societies are rigid hierarchies dominated by one political party and usually by a single leader. The party penetrates the entire country through regional, provincial, local, and "primary" (party-cell) organization. Youth, professional, cultural, and sports groups supplement the party's political control. A paramilitary secret police ensures compliance. Information and ideas are effectively organized through the control of television, radio, the press, and education at all levels.

In short, totalitarian regimes seek to dominate all aspects of national life. In this respect totalitarianism differs from older concepts of dictatorship or tyranny, which seek limited--typically political--control. In addition, totalitarian regimes mobilize and make use of mass political participation, whereas dictatorships seek only pacified and submissive populations. Finally, totalitarian regimes seek the complete reconstruction of the individual and society; dictatorships attempt simply to rule over the individual and society.

Types of Totalitarianism

Two types of totalitarianism may be distinguished: NAZISM and FASCISM on the right and COMMUNISM on the left. While sharing the ideological and organizational features discussed above, the two differ in important respects. Right totalitarian movements, such as the Nazi party in Germany and the Fascists in Italy, have drawn their popular support mainly from middle classes seeking to maintain the status quo and advance their own social position. Left totalitarianism, such as that of the former USSR, relies instead on a lower or working class seeking to eliminate, not preserve, class distinctions. Right totalitarianism has been outspokenly racist and elitist, whereas, in theory, left totalitarianism has not. Right totalitarianism, unlike its leftist counterpart, rests on a cult of the hero, although in practice the cults of Joseph STALIN and MAO ZEDONG (MAO TSE-TUNG) were as pronounced as those of Adolf Hitler and Benito Mussolini. Moreover, right totalitarianism has supported and enforced the private ownership of industrial wealth. A distinguishing feature of Soviet communism, by contrast, was the collective ownership of such capital.

A final difference lies in the role of terror and violence in the two types of totalitarian societies. Left totalitarianism has arisen in relatively undeveloped countries through the unleashing of massive revolutionary violence and terror and the elimination of all opponents--political, social, military, economic--in short order. Terror and violence tended to level off or decline after these regimes consolidated their power. By contrast, right totalitarian regimes (particularly the Nazis), arising in relatively advanced societies, have relied on the support of traditional elites to attain power. The old elites, coexisting in a subordinate role with the new, have continued to pose a challenge and threat. Escalating levels of terror and violence resulting from such struggles contributed to the eventual collapse of the two major right totalitarian regimes, Nazi Germany and Fascist Italy. The Communist governments in Eastern Europe and the former USSR, by contrast, endured periodic reforms leading to democratic transformation.

Mostafa Rejai

Bibliography: Arendt, Hannah, The Origins of Totalitarianism, rev. ed. (1966; repr. 1983); Aron, Raymond, intro. by Roy Pierce, Democracy and Totalitarianism (1990); Bracher, Karl Dietrich, The German Dictatorship: The Origin, Structure and Effects of National Socialism, trans. by Jean Steinberg (1970); Friedrich, Carl J., and Brzezinski, Zbigniew, Totalitarian Dictatorship and Autocracy, 2d ed. (1965); Germino, D. L., The Italian Fascist Party in Power: A Study of Totalitarian Rule (1959; repr. 1971); Gregor, J. A., The Ideology of Fascism (1969); Hayek, Friedrich, The Road to Serfdom (1944); Radel, Lucien, Roots of Totalitarianism (1975); Soper, Steven P., Totalitarianism: A Conceptual Approach (1985); Talmon, J. A., The Origins of Totalitarian Democracy, rev. ed. (1960; repr. 1985).


(da: Grolier Electronic Publishing)

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Approfondimento: Dictatorship

A dictatorship is a form of government in which authority is centered in a single person whose power is not circumscribed by law nor by the acts of other official bodies. In ancient Rome the dictator was a special magistrate appointed to rule in times of emergency. Many modern dictators have also come to power in times of emergency, sometimes by coup d'etat and sometimes by legal means. They either seize or are granted extraconstitutional powers, claiming as justification the need for strong executive leadership in unstable times.

The dictator's power usually stems from control over key institutional bases of power, such as a political party, the police, or the army. Frequently, they strengthen themselves by creating and perpetuating myths around their personalities and their missions. In the case of a dictator like Adolf HITLER, Joseph STALIN, MAO TSE-TUNG, KIM IL SUNG, or Saddam HUSSEIN, the adulation may imply that the leader is omniscient and infallible.

By its nature, dictatorship is an unstable form of government. No provision can be made for a successor to the dictator, and the consequence may be a series of dictators who seize power by coups, a prolonged struggle between rivals, or a bloody civil war. Undue reliance on the police and the military is also likely to take its toll in the financial and social costs of maintaining large internal security forces.

Bibliography: Arendt, Hannah, The Origins of Totalitarianism (1973, repr. 1983); Hallgarten, George W., Devils or Saviours: A History of Dictatorship Since 600 B.C. (1960).

(da: Grolier Electronic Publishing)

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Approfondimento: Authoritarianism

Authoritarianism, the favoring of blind submission to authority, is characteristic of certain individuals, of common belief systems shared by such individuals, and, by extension, of elitist, antidemocratic governments based on such shared beliefs. As an individual trait, authoritarianism was first systematically explored in research presented by Theodor ADORNO and others in The Authoritarian Personality (1950). The study began as an investigation of ANTI-SEMITISM in the United States but led to discovery of numerous correlations between anti-Semitism and other attitudes associated with stereotyped behavior. While authoritarian governments have sometimes been distinguished from totalitarian ones (see TOTALITARIANISM)--for example, in defense of U.S. ties with antidemocratic governments of Latin America during the the 1980s--totalitarianism is in fact an extreme instance of authoritarianism.

(da: Grolier Electronic Publishing)

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Approfondimento: Government

Government comprises the set of legal and political institutions that regulate the relationships among members of a society and between the society and outsiders. These institutions have the authority to make decisions for the society on policies affecting the maintenance of order and the achievement of certain societal goals. This article provides an overview of the types of government, the ways authority can be distributed, the divisions of government, and the functions of government. Separate articles deal with the origins and development of the concept of the STATE, the theoretical and practical development of REPRESENTATION, LAW, and the study of government (see POLITICAL SCIENCE).

The power of a government over its own citizens varies, depending on the degree to which it is free of limitations and restraints. The power of a government abroad also varies, depending on the human and material resources with which it can support its FOREIGN POLICY. Governments range in size and scope from clans, tribes, and the shires of early times to the superpowers and international governments of today. Until recent times some governments were strong enough to establish EMPIRES that ruled not only their own people but other peoples and states across national, ethnic, and language boundaries. The present-day counterpart of the empire is the superpower that is able to lead or dominate other countries through its superior military and economic strength. Within the modern nation-state, government operates at many different levels, ranging from villages to cities, counties, provinces, and states.

TYPES OF GOVERNMENT

ARISTOTLE, a Greek political philosopher of the 4th century BC, distinguished three principal kinds of government: MONARCHY, ARISTOCRACY, and polity (a kind of enlightened DEMOCRACY). The differences among them chiefly concerned whether power was held by one, by a few, or by many. Aristotle thought that the selfish abuse of power caused each type to become perverted, respectively, into tyranny, OLIGARCHY, and a lower form of democracy characterized by mob rule. Monarchy tended to become tyrannical because it vested authority in a single ruler. Aristocracy, a government based on birth and privilege, in which the rulers governed for the good of the whole society, tended to become oligarchy as a consequence of restricting political power to a special social and economic class; only a few members of the class would have enough drive and ability to acquire the power to govern. The polity, likewise, would deteriorate into ochlocracy, or mob rule, if the citizens pursued only their selfish interests.

Aristotle's classifications suited the societies of ancient times, but they do not correspond to the power structure of later societies. Modern writers have developed a variety of schemes for classifying governments, based on the nature of the ruling class, the economic system, the government's political institutions, the principles of authority, the acquisition and exercise of power, and other factors. Some influential writers on government include Thomas HOBBES, Baron de MONTESQUIEU, Jean Jacques ROUSSEAU, Karl MARX, Gaetano MOSCA, Vilfredo PARETO, and the sociologist Max WEBER.

Monarchy

The most common form of government from ancient times to the early part of the 20th century was monarchy, or rule by a hereditary king or queen. Monarchy passed through three basic stages, varying according to the nation and the political and economic climate. The first stage was that of the absolute monarch. In the Christian part of the world during the Middle Ages, a conflict developed between the pope and the kings who recognized his spiritual authority. The pope wanted to expand the power of the church beyond spiritual matters to include the temporal realm. But some kings proclaimed that God had given them the right to rule, and by proclaiming this DIVINE RIGHT they were able to give legitimacy to their reigns and limit the pope's power. (See CHURCH AND STATE; INVESTITURE CONTROVERSY.)

Limited monarchy was the second stage. Kings depended on the support of the most powerful members of the nobility to retain their thrones. In England and some other Western European countries, the nobility placed limits on the power of the ruler to govern. This was done in England, for example, through the MAGNA CARTA. Threatened with the loss of political and financial support, even the strongest kings and emperors had to accept a system of laws that protected the rights and privileges of powerful social and economic classes.

The third stage in the evolution of monarchy was the constitutional monarchy. Present-day monarchs are nearly all symbolic rather than actual rulers of their countries. (A few exceptions can be found in Africa and Asia.) In such monarchies as Great Britain, the Netherlands, Sweden, and Spain, governing power is now in the hands of the national parliaments.

Constitutional Government

Today most governments derive their legitimacy from national CONSTITUTIONS that provide a legal framework for their rule and specify how power is to be exercised and controlled. Even one-party states, such as the traditional Communist countries and other nations in Africa, Asia, and South America, have found it necessary to establish formal constitutions. In democratic countries the constitution can be amended or replaced by popular vote, either directly or through a system of elected representatives. In authoritarian one-party systems, however, all political power, including that of revising the constitution, resides with the leaders of the party. The constitution may thus be only a paper facade, and in order to understand how the country is governed one must examine the actual political process.

Democracy

Representative government in the modern world is based not only on a constitution that provides for it but on the actual rule of law--the assurance that provisions of the constitution will be enforced. It requires that citizens be free to organize competing POLITICAL PARTIES, engage in political CAMPAIGNS, and hold ELECTIONS according to agreed-upon rules. Democratic governments vary in structure. Two common forms are the parliamentary and the presidential. In the parliamentary form of government, as in Australia, Britain, Canada, or India, all political power is concentrated in the parliament or LEGISLATURE. The prime minister or premier and the officers of the cabinet are members of the parliament. They continue in office only as long as parliament supports--or has "confidence" in--their policies. In the presidential form of government, as in France and the United States, the voters elect a powerful chief executive who is independent of the legislature but whose actions are delimited by constitutional and other legal restraints.

Dictatorship

As a form of government, DICTATORSHIP is principally a 20th-century phenomenon. The dictator, often a military leader, concentrates political power in himself and his clique. There is no effective rule of law. The regime may or may not have a distinctive political IDEOLOGY and may or may not allow token opposition. The main function of a dictatorship is to maintain control of all governmental operations. There have been some cases--Indira GANDHI in India and several military dictatorships in Latin America--in which authoritarian rulers have relaxed their control and have even allowed open elections. In certain Soviet-bloc countries of Eastern Europe dictators were forced from power in bloodless coups or voluntarily relinquished their authority to popularly elected officials as Soviet power declined.

The totalitarian dictatorship, as in Nazi Germany, Communist China, and the formerUSSR, is much more thoroughgoing. It seeks to control all aspects of national life, including the beliefs and attitudes of its people. It has a set of ideas that everyone is expected to embrace, such as revolutionary MARXISM or counterrevolutionary FASCISM. At its most extreme, as during the leadership of Joseph STALIN in the USSR, the power of the dictator may become more absolute than in any of the earlier forms of tyranny. Such gross power in the hands of one person results inevitably in the development of what has been called a cult of personality. The leader is credited with almost infallible wisdom, because to admit that he or she may be wrong would deprive the regime of its authority. In some Communist countries the cult of personality appears to have given way to the dominance of a group of party leaders--a ruling oligarchy. The administrative complexities of managing a modern industrial state are too great to be monopolized by an individual leader such as Stalin or MAO ZEDONG (Mao Tse-tung). The successor regime in China, for example, continues to claim infallibility for its policies and doctrines but not for the leaders. Examples of 20th-century dictators in addition to those already mentioned include Idi AMIN DADA (Uganda), Kemal ATATURK (Turkey), Fulgencio BATISTA and Fidel CASTRO (Cuba), Francisco FRANCO (Spain), Saddam HUSSEIN (Iraq), Ferdinand MARCOS (Philippines), Benito MUSSOLINI (Italy), Juan PERON (Argentina), and Antonio SALAZAR (Portugal).

DISTRIBUTION OF AUTHORITY

Effective government in any form requires a workable method for distributing authority within the country. The larger and more diverse the jurisdiction of the government the stronger the tendency toward a federal system in which authority is "layered" or distributed among different levels. In countries with a relatively homogeneous population and with a common tradition, language, and sense of national history, the central governments may not be federal but unitary--that is, they may retain most of the administrative power at the center. Loosely allied autonomous states sometimes join together to create a type of central government known as a confederation, in which the central government exists only at the pleasure of the sovereign members.

Federal Systems

The United States and India with their state governments and Canada and China with their provincial governments are examples of workable federal systems in large nations with very diverse populations. Other federal states include Argentina, Australia, Brazil, Mexico, Nigeria, and Germany. The national governments of these countries are clearly more powerful than those of their subdivisions, even though the constitutions delegate many powers and responsibilities to the subnational units. In certain prescribed policy areas a state government may have a high degree of autonomy. In the United States, for example, state legislatures pass laws having to do with state affairs; state administrators carry them out; and state judiciaries interpret them.

Federal systems also include autonomous local governments such as county governments and MUNICIPAL GOVERNMENTS--in cities, boroughs, townships, and villages local governments may stand in a relationship to their state governments that corresponds to that of state governments with the national government. The citizens in each jurisdiction elect many of the public officials. In addition, certain special districts exist with a single function, such as education or sanitation, and have their own elected officials.

The layers of government in a federal system may not be clearly defined in practice. Often the different levels compete for control of functions and programs. In the United States and other countries the tendency over the years has been for the national government to become much more involved in areas that once were the exclusive domain of state or regional governments. In addition, the distribution of authority has become even more complex and varied with the rise of large metropolitan areas--the MEGALOPOLIS--and the corresponding new local governmental organizations such as the Port Authority of New York and New Jersey.

Unitary States

In unitary states the national government performs all the governmental functions. Subnational national units administer matters within their jurisdiction, but their powers are set and delegated by the national authority. The national government retains the police power--the inherent power to provide for the health, safety, and welfare of its citizens. TAXATION and major lawmaking powers also rest almost entirely with the national government.

Most nations are unitary states, but their institutions and processes may differ markedly. Great Britain, for example, is considered a unitary system, yet a certain degree of regional autonomy exists in Northern Ireland, Scotland, and Wales, and local county governments perform certain fairly autonomous functions. In France, however, strict control over the administrative territorial subdivisions is exercised by the national government. In other unitary states there exists only token territorial decentralization.

Confederations

Confederation produces the weakest central government. Member states in a confederation retain their sovereignty, delegating to the central government only those powers that are essential for its maintenance. The individual states jealously guard their power to tax and to make their own laws. The central government serves as a coordinating instrument to protect the interests of all its members. It also represents the confederation in dealings with outside governments, but its actions are subject to the review and approval of the confederated states.

The weakness of the confederate form of government led the United States to abandon that system in 1789 after only eight years. Confederations, however, have also served other nations--Germany and Switzerland, for example--as a preliminary step toward a more unified government. No modern nation-state is organized along confederate lines, yet some international organizations, such as the British COMMONWEALTH OF NATIONS, the EUROPEAN UNION (formerly the European Community), and the NORTH ATLANTIC TREATY ORGANIZATION, have some aspects of a confederation.

DIVISIONS OF GOVERNMENT

Various political thinkers have distinguished types of government activity. Montesquieu was the first, however, to urge the creation of three separate institutions or divisions of government--the executive, legislative, and judicial--a distinction that became common in almost all modern constitutions. Some governmental structures, notably that of the United States, are based on the principle of SEPARATION OF POWERS at nearly every level. Executive, legislative, and judicial powers are divided into three branches of government, creating a system of checks and balances among them and helping to protect citizens from arbitrary and capricious actions on the part of any of the three branches. Such protection is crucial in the area of CIVIL RIGHTS--those constitutionally guaranteed rights that shield the citizen from tyrannical actions by government. Often, in times of grave national emergency, when the central government needs more power, the public is willing to grant it. The executive branch usually predominates at such time (see PRESIDENT OF THE UNITED STATES).

Proponents of the separation of powers bring an additional argument in its favor: they point out that the system diminishes the influence of SPECIAL-INTEREST GROUPS over any one branch of government or over the government as a whole. It is difficult for even the strongest faction to dominate a government in which the executive is elected by the entire population, members of the legislature represent different geographical constituencies, and the judges are appointed by the executive with the approval of the legislature.

Not all states, of course, have such clear divisions of government, nor do divisions necessarily guarantee personal liberties. Parliamentary democratic systems, for example, tend to merge legislative and executive functions yet control the exercise of power by constitutional methods of sharing it. Authoritarian states may, however, be constitutionally bound to have separate organs of government yet actually concentrate power in the executive.

FUNCTIONS OF GOVERNMENT

Maintenance of Authority

One of the principal functions of government is to remain in power. Governments do not relinquish their authority unless compelled to do so. Many of the actions of politicians and civil servants can be explained by the need to maintain and enhance their power.

Every government strives to increase its legitimacy in the eyes of the people. It may identify itself with ancient traditions, with hope for the future, or with fear of a common enemy. Some governments employ repression, never relaxing their vigils against real or imagined opponents. Even democracies, when threatened, are likely to engage in a search for subversives and "enemies of the people." When a regime draws its main support from a privileged class or group that decreases in numbers and strength, when a government becomes ineffective in handling domestic affairs or countering external threats, or when a society's consensus on the principles and goals of government evaporates, a government tends to lose authority. The French monarchy in the 18th century and the Russian monarchy in the 20th century were based on aristocracies that had lost much of their legitimacy in the eyes of the people. Eventually these regimes were unable to enforce their laws, and REVOLUTIONS swept them from power.

Governments tend, therefore, to foster widespread ideological commitment to the nation through patriotic ceremonies, propaganda, and civic education; they employ armed forces and intelligence-gathering organizations for national defense; they maintain police and prison systems to ensure domestic order; and they undertake the administration of supervisory and regulatory functions to carry out national goals by establishing various bureaucracies to handle each complex function.

Administration

All governments recognize the principle that the public must be protected and served. The citizen, in effect, surrenders a degree of individual sovereignty to the government in return for protection of life and property and the delivery of essential services. Governments supervise the resolution of conflicting interests, the workings of the political process, the enforcement of laws and rights, and the monitoring of national income (see INCOME, NATIONAL) and INTERNATIONAL TRADE; they regulate economic and social relationships among individuals and private organizations; and they carry out enterprises such as production of military goods, provision of postal services, and ownership of power utilities and public works. Among the most basic services provided by government are the printing and coining of MONEY, the provision of roads, sewers, water, education, and SOCIAL AND WELFARE SERVICES.

With the growth of the WELFARE STATE, governments began to provide services such as SOCIAL SECURITY and health insurance. But the scope of GOVERNMENT REGULATION is now much broader. In the United States the government sets minimum wages, limits the rates charged by public utilities, buys farm commodities to keep prices up, forbids the sale of harmful foods and drugs, sets standards for gasoline consumption by automobiles, requires manufacturers to install antipollution devices, and monitors the safety of factories. Federal, state, and local governments in the United States also engage directly in economic activity. They impose taxes, produce and consume goods, sell electric power, lend money to farmers, and insure bank deposits.

In other countries governments intrude even further into the workings of the economy. In Western Europe governments own and operate telephone, radio, and television services, railroads, coal mines, and aircraft companies. In some countries, such as Sweden and Great Britain, the entire health system is also run by the state. In countries with Communist governments, such as the former USSR , North Korea, China, and Cuba, the state has attempted to control the entire economic life of the nation. All economic planning is centralized in the government and its bureaucracies. When the system fails to produce the goods and services expected by the people, the government is forced to increase the level of repression of its citizens in order to remain in power.

INTERNAL CONFLICTS

The end of the cold war and the loss of control by the superpowers over international events have led to a different type of stress on many governments. The threats to their sovereignty are no longer external. Many nations, especially those artificially carved out of old empires that expired during both World Wars, are finding that the arbitrary power that maintained the central governments is no longer sufficient for the task. The communication revolution, through radio and the satellite transmission of television, has truly created a "global village." Citizens no longer live in isolation. They demand the rights and privileges enjoyed by others.

Another kind of demand governments must try to meet comes from ethnic and religious groups that in some cases seek autonomy from the government. Some of these conflicts result in attempts at GENOCIDE, and the rest of the world appears powerless to intervene. These problems are not limited to Third World countries. NATO has revised its original purpose of preventing an invasion of western Europe to a strategy of maintaining smaller mobile forces to prevent the internal breakup of nations. But these internal conflicts continue to have the potential to produce anarchy and chaos, threatening entire regions.

INTERNATIONAL GOVERNMENT

In modern times national governments have become increasingly involved with one another in supranational systems. The LEAGUE OF NATIONS, established in 1919, grew to include more than 90 members. It collapsed in World War II but was succeeded by the UNITED NATIONS (UN). The UN, like the League, is a voluntary association generally without power to act unless the five permanent members of the Security Council agree. It has, however, served as a forum for international debate and a convenient meeting ground for negotiations. The UN has also committed military forces of member nations in an attempt to limit the scope of conflicts that cannot be solved by national governments. UN forces have suffered casualties in some of these conflicts. The United Nations is now an international government in both theory and reality, and the organization will continue to face many serious challenges in many parts of the world.

Associated with the UN are a number of specialized organizations that perform important governmental functions. They include the FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION, the INTERNATIONAL ATOMIC ENERGY AGENCY, the INTERNATIONAL CIVIL AVIATION ORGANIZATION, the INTERNATIONAL COURT OF JUSTICE (World Court), the INTERNATIONAL LABOR ORGANIZATION, the INTERNATIONAL MONETARY FUND, the WORLD HEALTH ORGANIZATION, and the International Telecommunication Union.

The specialized agencies have enabled national governments to cooperate in many practical matters such as setting standards, extending technical and financial assistance to developing countries, eliminating or controlling epidemic diseases, and establishing an international monetary system.

Regional associations of nations have usually existed in a loose confederation for national security purposes or for vaguely defined geographical and political purposes. The European Union of 16 member nations has taken the concept of regional association to a much higher level. It has moved to create a political union among sovereign states, and its Common Market competes with the major economies of the world.

Thomas B. Hartmann

Bibliography: Almond, Gabriel A., et al., Comparative Politics: A Theoretical Framework (1992); Beer, Samuel H., et al., Patterns of Government, 3d ed. (1972), and To Make a Nation (1993); Budge, Ian, Parties and Democracy (1990, repr. 1993); Calvert, Peter, Politics, Power and Revolution (1983); Curtis, Michael, et al., eds., Introduction to Comparative Government, 3d ed. (1992); Diamond, Larry, and Plattner, Marc F., eds., Capitalism, Socialism, and Democracy Revisted (1993); Finer, S. E., Comparative Government (1974); Taylor, P. J., World Government (1993); Zeigler, Harmon, The Political Community (1990).

(da: Grolier Electronic Publishing)

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9.11.06

Gli asini del tre più due

di Marina Montacutelli

AprileOnLine.info  24 ottobre 2006

Dibattito     Un'indagine dell'Istat rivela un clamoroso - e non del tutto inatteso - fallimento della riforma universitaria che separa la carriera degli studenti in due tappe distinte. Primo motivo, la carenza degli iscritti che sono diminuiti di ben 16 mila unità



Qualcuno l'aveva detto, che tre più due genera asini. Che si voleva ridurre l'università a un discount. Che questo avrebbe cagionato, e non certo nel lungo periodo, perversi effetti collaterali: l'estendersi di logiche utilitaristiche, la subordinazione della qualità senza avere in cambio neanche la quantità, l'affannarsi necessario - stante il titolo aereo, breve ma anche magistrale - nella babele dei privatissimi e costosissimi master. Che la pretesa funzionalità al mondo produttivo scantonava verso un sapere minimo, imbalsamato, debole e contraddittorio, inutile e inutilizzabile anche per le imprese. Che la riforma escogitata dagli allora ministri L. Berlinguer e O. Zecchino - e mantenuta nel suo impianto di sostanziale giro d'affari dal governo successivo - esprimeva solo, in un falso miscuglio di liberalismo e "democraticismo", una profonda ignoranza e una crassa, scimmiottante subordinazione culturale: americani, senza esser l'America. Che invece del "tecnicizzante" e "professionalizzante" avviamento al lavoro - riservato a chi in America non può andare - bisognava pensare ad un percorso educativo indirizzato non al "come" ma al "perché" delle cose e dei processi.

Ora - dopo Alma Laurea, che nessuno ha voluto leggere - ce lo dice anche l'ISTAT. Conti alla mano, la riforma sta fallendo per mancanza di avventori: nell'anno accademico 2005-2006 si sono iscritti 16 mila studenti in meno. Probabilmente, il 20 per cento di loro abbandonerà prima del secondo anno; non sappiamo ancora quanti arriveranno alla laurea, essendo sovrastimati finora i dati dagli araldi del 3+2. Guardando figli e nipoti abbiamo qualche idea, invece, della qualità del pezzo di carta come attesta, infatti, l'Istat: i giovani dichiarano anche (62,4%, e sono davvero più saggi di noi) che il nuovo sistema ha peggiorato la qualità culturale complessiva.
Il parco-clienti, dunque, si assottiglia; le università, nella loro rispettabilissima autonomia, rischiano il fallimento; i docenti - unici colpevoli, ché il cerino in mano a qualcuno bisogna lasciarlo - non sono in pericolo solo perché diminuiscono anche loro: nella nuova finanziaria il turn over sarà assicurato, al solito, dal solito precariato. Che, per la verità, l'America non la vorrebbe: avrebbe bisogno di maggiori risorse, di libertà intellettuale, di diritti sociali e lavorativi; vorrebbe poter scegliere la propria vita senza la spada di damocle della - continua - temporalità. Vorrebbe una cosa chiamata "dignità", come persona e come lavoratore.

E allora, tra le tante, una domanda postami da un acuto e intelligente osservatore: invece di vaneggiare e vaniloquiare di diritto al successo formativo [sic] senza che nessuno mandi gli autori di queste evanescenze a pelar patate, c'è qualcuno che ha invece una sia pur vaga idea - e poi sia capace - di una politica della formazione (dalle elementari all'università) che non sia qualunquismo demagogico? C'è ancora qualcuno che ha voglia di combattere per la cultura, il sapere, la ricerca pensando - anche, peraltro - alla loro funzione civile? C'è qualche uditore, qualche interlocutore di questi valori universali, di questi fondamenti della civiltà? In questi anni ci siamo sentiti grilli parlanti o rane gracidanti nel fango che eravamo costretti a propinare, insieme a un sapere trasmesso in dosi omeopatiche; siamo stati e siamo offesi da questo trionfante, inarrestabile taylorismo.

Come ha notato qualcuno, e senza aver bisogno dei dati Istat: l'università è lo specchio della società; nel nostro caso, di un Paese diventato oligarchico e avviato al declino: dunque, se il destino di un giovane è quello di finire in un call center non occorrono tanti investimenti. Ma quel che è certo - dice un precario - è che nessuno potrà trarre vantaggio da corsi di laurea à la page concepiti, ogni tre anni, per tenere a bada tardoadolescenti familisti in mano a una casta che si vuol screditare e rendere cinica venditrice di crediti, non importa - tutto sommato - se di destra o di sinistra.

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3.11.06

Approfondimento: Pluralism

Pluralism is a theory or system of thought that recognizes more than one (MONISM) and generally more than two (DUALISM) ultimate principles. The elements in metaphysical pluralisms are quite varied: from the earth, air, fire, and water of EMPEDOCLES, and the mercury, sulfur, and salt of PARACELSUS; the Chinese water, fire, wood, metal, soil, and Yin and Yang; to the mind, matter, and God of William JAMES. Epistemological pluralism, presented in William James's PRAGMATISM, maintains that there is no single meaning or truth; meaning varies as the consequences vary for the individual, and truth is the expedient way of thinking. Attributive monisms, such as Gottfried Wilhelm von LEIBNIZ's monodology, have also been considered pluralisms because they talk of many elements of the same type.

In political theory pluralism is a concept that describes the heterogeneity of groups that share power in public policymaking. The theory of democratic pluralism asserts that the public interest emerges from the democratic competition of diverse and changing elite groups, none of which are able to become dominant.

Donald Gotterbarn

(da: Grolier Electronic Publishing)

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1.11.06

Approfondimento: Elite e classe politica

1. Origine e interpretazioni: Mosca, Pareto, Michels - 2. La modernita' del concetto - 3. Le teorie liberali dell'elite - 4. Classe politica
1. elite deriva da eligere "scegliere". Due sono le caratteristiche fondamentali che vengono usualmente associate a questo concetto. Innanzitutto quella del numero: il termine elite identifica sempre un gruppo minoritario all'interno di un piu' vasto aggregato. In secondo luogo l'esistenza di un criterio, o di un insieme di criteri di distinzione in base ai quali questo gruppo minoritario viene identificato rispetto alla maggioranza.
Se e' agevole constatare che delle elite, individuate in base a queste caratteristiche, sono esistite in tutti i sistemi politici, va d'altro canto sottolineato che il concetto acquista rilievo all'interno della scienza della politica tra Otto e Novecento, periodo nel quale compaiono gli studi di quelli che piu' tardi verranno definiti - accomunandoli in una formula non priva di eccessiva semplificazione - gli e'litisti: Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels, solo per indicare i nomi che piu' comunemente vengono ricompresi in questo filone di teoria.
e' importante sgombrare subito il campo da possibili equivoci. Il concetto elite nasce vago, nel senso che spesso in suo luogo vengono impiegati termini diversi, quali, soprattutto, classe dominante e classe politica, o, piu' raramente, oligarchia.
Mosca, che con Pareto puo' essere considerato non solo uno dei piu' accorti studiosi del fenomeno, ma - anche e soprattutto - uno dei massimi teorici e "ideologi" dell'elitismo, preferisce utilizzare, in polemica con Pareto, il termine "classe politica" piuttosto che quello di elite, in quanto "le espressioni elite o aristocrazia implicano un elogio alle classi medesime che veramente esse in molti casi sono ben lungi dal meritare". Mosca, il quale ritiene che a rendere certe classi atte a far parte della classe politica sia il possesso di fatto di "quella forza politica che si trova a essere, in un dato periodo storico, la piu' necessaria", arricchisce il concetto di una caratteristica rilevante: quella della coscienza di appartenenza alla classe politica da parte dei suoi membri. Da qui deriverebbe una coesione interna in grado di rendere il gruppo minoritario meglio attrezzato per la conquista e l'esercizio del potere. In tal modo per Mosca l'intera storia dell'umanita' potrebbe essere vista come un susseguirsi di diverse minoranze organizzate.
Pareto invece fonda la sua teoria sulla cosiddetta "legge della scarsita'": il principale problema con il quale la civilta' ha dovuto confrontarsi nel corso del suo sviluppo e' stato quello dell'ottimizzazione dello sfruttamento e della distribuzione delle risorse scarse. E proprio il governo dei migliori e' quello che ha assicurato, alla prova dei fatti, la piu' efficiente utilizzazione di queste scarse risorse. Secondo questo autore, a un E. che governa si contrappone un'E. che non governa, dove la prima e' distinta dalla seconda in base a due variabili fondamentali: la superiorita' dovuta all'uso della forza e il consenso nei suoi confronti da parte dei governati. Fondamentale e' per Pareto il problema della circolazione delle E., intendendo con questo non solo la questione del ricambio tra le diverse E., ma anche il passaggio di personale tra un'E. e un'altra, e tra la massa e le E.
Michels introduce nell'analisi la variabile organizzativa, ovvero la necessaria tendenza all'organizzazione di qualsiasi aggregato umano, tendenza la quale produce inevitabilmente tanto un processo di gerarchizzazione, quanto un fenomeno di formazione di minoranze all'interno del gruppo, le quali tendono a monopolizzare il potere e a perpetuare il dominio. Michels sembra richiamarsi fondamentalmente al pensiero di Machiavelli e Max Weber, laddove afferma che la massa manifesta la necessita' psicologica di una Leadership forte e stabile, la quale necessita' e' a sua volta all'origine della convinzione che i leaders siano forniti di eccezionali qualita' personali.
2. E' naturale che tutti questi approcci vanno inquadrati all'interno di fenomeni storico-culturali di piu' vasta portata. Il periodo trattato - i cinquant'anni a cavallo del secolo - e' quello nel quale si sta verificando forse la piu' grave crisi di crescenza del sistema politico ed economico figlio della rivoluzione industriale e della Rivoluzione francese. Crisi che portera' allo scatenamento della prima fase (1914-1918) della grande guerra civile europea, e che solo ora sembra avviata a conclusione con il crollo dell'impero esterno sovietico.
E' il periodo nel quale 'lo Stato liberale si trova alle prese con il problema dell'ingresso, il piu' indolore possibile, delle masse all'interno del processo politico.
Di fronte alle enormi difficolta', e agli altrettanto giganteschi errori, con cui questo processo viene condotto, si stagliano sostanzialmente tre tipi di reazioni. Quella di chi tenta una difesa dei "corpi" della societa', rendendosi conto che la democratizzazione comporta non solo un maggior livellamento delle posizioni sociali, ma anche l'azzeramento di tutte le istanze particolaristiche o intermedie (azzeramento inteso come negazione della legittimita' per tali istanze di esercitare direttamente qualsiasi forma di pressione, rappresentanza o potere). e' questa l'area in cui si collocano le diverse dottrine di ispirazione cattolica. C'e' viceversa chi tende ad accelerare il processo in corso, nel tentativo di creare un assetto sociale nel quale individuo e massa siano portatori di un medesimo (piu' che complementare) interesse. e' questo cio' che accomuna le posizioni di Marx, Comte e buona parte dei socialisti utopisti. Ci sono infine coloro che, pur apparendo assumere posizioni di mediazione, tentano in realta' una piu' ardita sintesi tra le categorie e i valori che sono stati posti a fondamento dell'idea di democrazia e di politica dell'Occidente (gia' a partire dal secolo IV a.C.), e il nuovo assetto sociale richiesto dalla sfida posta dall'ingresso delle masse nello Stato liberale. Ed e' in questo senso che sono da interpretare origini e sviluppo delle teorie e'litiste. Come pure e' in tal senso che oggi queste teorie mantengono, ma per piu' di un aspetto riacquistano, un forte valore di attualita'.
Rispetto alla valutazione dell'E., ci troviamo, in questo terzo tipo di risposta, in una posizione non dissimile da quella in cui siamo quando ci chiediamo se Majakovskij fosse - non per la tecnica poetica, ma per la sua concezione del mondo - un rivoluzionario o un reazionario. Proprio perche' il tentativo e' quello di una nuova sintesi tra antico e moderno, le concezioni di E. appaiono molteplici e, a volte, contraddittorie dal punto di vista delle concrete applicazioni delle diverse dottrine e'litiste. Accanto alle posizioni di un Gustave Le Bon o di un Jose' Ortega y Gasset, che contrappongono "l'uomo-massa" "all'uomo-E.", se ne trovano altre piu' sfumate, meno immediatamente politiche e di assai difficile collocazione in un continuum i cui estremi siano considerati il reazionarismo e il progressismo: si pensi alle tesi espresse dal tedesco Ernst Junger, che delinea una figura tipologica - l'anarca, il ribelle - in cui elementi di forte accettazione della modernita' convivono con una ricerca delle radici, psicologiche e valoriali, della cultura europea.
Nell'Europa continentale comunque le teorie dell'E. vengono piegate strumentalmente e utilizzate dalle diverse forme fascisteggianti o piu' semplicemente autoritario-conservatrici che si diffondono un po' ovunque fino agli anni Trenta.
3. Libere da quest'abbraccio soffocante, teorie e concetto sono tenute in vita fino ai nostri giorni soprattutto nelle democrazie anglosassoni. Il che legittima due considerazioni. La prima: le democrazie che piu' si dimostrano capaci di resistere alla bufera totalitaristica e autoritaria che sconvolge il Vecchio Continente sono proprio quelle che presentano delle E. stabili e facilmente individuabili. Questa considerazione e' importante perche' sembra avallare storicamente l'interpretazione che tra stabilita' dei regimi democratici e presenza di forti E. esista un legame necessario. La seconda: e' proprio in queste realta' politico-istituzionali che si intensificano gli studi di gran parte dei "nuovi e'litisti" per dimostrare la non opposizione tra E. e democrazia. In tal senso si muovono le analisi di Robert Dahl e dei "pluralisti".
Dahl formula un concetto di E. basato su una visione particolare della distribuzione delle risorse politiche, che definisce delle "ineguaglianze differenziate". Secondo Dahl le classi dirigenti presenti nelle moderne democrazie sono estremamente pluralistiche e frammentate, e, per di piu', rileva empiricamente che differenti gruppi di E. esercitano la loro influenza nei diversi processi decisionali, in relazione al tipo di issue di volta in volta sul tappeto. Questo fa si' che la netta distinzione tra E. e non-E. venga annullata. La visione dell'autore americano e' assai influenzata da quanto gia' sosteneva Joseph Schumpeter, ovvero che le moderne democrazie siano sostanzialmente sistemi, nei quali viene regolata la competizione fra minoranze organizzate politicamente attive, impegnate in una lotta pacifica per l'ottenimento dei consensi elettorali da parte della maggioranza non organizzata dei politicamente non attivi. Una visione, questa, che richiama per piu' di un aspetto quella di un mercato economico oligopolistico: una visione, soprattutto, che pone la maggioranza come arbitro della competizione tra le diverse minoranze. Ed e' per tale via che si giunge a una rappresentazione della democrazia che incorpora il concetto di E., democrazia intesa cioe' come sistema per il quale il potere di scegliere l'E. che governa e' nelle mani del De'mos.
Su una posizione molto piu' vicina a quella degli e'litisti "classici" si trova invece Charles Wright Mills, lo studioso alla cui teoria si rivolgono piu' immediatamente le critiche di Dahl. Secondo Wright Mills esiste una vera e propria E. del potere, ovvero il gruppo al vertice delle tre istituzioni dominanti nella societa': quella militare, quella politica e quella economico-finanziaria. Questa teoria sembra pero' eccessivamente rigida, e forse un po' vicina alla tautologia per cui "chi ha il potere e' colui che comanda". In effetti e' proprio quando lo si impiega in modo riduzionistico, che il concetto di E. mostra in maniera piu' netta i propri limiti in termini di vaghezza e ambiguita'. Del resto la mera constatazione che nelle moderne democrazie (come in tutti i regimi politici) esistano delle classi dominanti, o comunque delle minoranze che detengono un potere maggiore del resto dei membri della comunita', appare un argomento insufficiente per mettere in dubbio la reale democraticita' delle attuali democrazie liberali. Semmai rafforza le opinioni di de Madariaga e di Lindsay; secondo i quali Leadership e forme democratiche di governo, autorita', competenza e democrazia di massa sono strettamente connesse.

4. Sebbene anche nella nota distinzione weberiana tra il vivere per la politica e della politica sia possibile rinvenire elementi per una definizione di C. politica, e' in realta' solo all'interno dell'elitismo italiano che al concetto e' stata attribuita una precisa e autonoma valenza analitica. Infatti, nonostante le significative differenze tra i loro reciproci contributi teorici, Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels hanno identificato all'interno della struttura sociale uno specifico gruppo organizzato, il cui elemento distintivo e' costituito dall'esercizio delle funzioni politiche attraverso l'impiego autonomo di risorse che gli vengono affidate o di cui esso stesso riesce ad appropriarsi. Secondo la definizione formulata da Gaetano Mosca, che introdusse il termine nelle scienze politico-sociali, C. politica e' infatti "una classe speciale, i cui elementi di formazione, secondo il secolo e il paese, possono variare, e' vero, moltissimo, ma che, in qualunque modo sia composta, sempre forma davanti alla massa dei governati, ai quali s'impone, una sparuta minoranza". A questa classe speciale e' attribuito "tutto cio' che nel governo e' parte dispositiva, esercizio d'autorita', ed implica comando e responsabilita'".
E' tuttavia necessario sottolineare come il termine classe sia utilizzato in una accezione impropria: la classe politica solo in rari casi puo' venire ricondotta a una classe economico-sociale, giacche', risulta invece ricostituita generalmente da una coalizione di classi, o di loro segmenti, oppure di gruppi dalla diversa coesione.

(da: Politica, vocabolario a cura di Lorenzo Ornaghi, Milano, ed. Jaca Book, 1996)

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Approfondimento: Elite and Elitism

Elite is a term applied to those individuals or groups in any society who exercise power, possess superior wealth, or enjoy elevated status and prestige. In everyday use, elite contrasts with the masses and is sometimes used synonymously with upper-class. Elite as a concept, however, is more specific and designates a particular group or individual that enjoys high status, is wealthy, or controls major institutions in contemporary societies.

The modern sociological theory of elites is associated with the writings of the late-19th-century social thinkers Vilfredo PARETO and Gaetano MOSCA. They, in turn, were reflecting the treatment of the social role of elites in the works of such earlier writers as Plato, Jean Jacques Rousseau, and, especially, Machiavelli. The work of Pareto and Mosca was an attempt to explain by a systematic and abstract theory the great historic changes then occurring in European societies, namely the rise of the modern bureaucratic state, the spread of market economies, and the process of industrialization. Pareto and Mosca located the source of change in the activity of elite ruling groups, who directed the operations of government and economy. Pareto and Mosca were interested in how the various kinds of elites--military, religious, political, and intellectual--were internally organized and related; how they perpetuated their power, wealth, and status; and how they replaced each other over time. The last aspect was expressed as the circulation of elites in the classic formulation of Pareto, who suggested that innovative and conservative elites tend to alternate over different historical periods.

In the wake of the European fascist movements, which transformed democratic states through elitist doctrines, American and British political sociologists became interested after World War II in the study of both the formal exercise of power and the informal subcultures among groups of ruling elites in the democratic societies of Europe and the United States. Also, social scientists focused attention on the new and old elites of the nation-states in Asia, Africa, and Latin America as they emerged from the period of Western colonialism. The ideas of Pareto and Mosca provided the framework for research projects in these two areas.

The central debate that dominated research on elites, especially in the United States, through the 1950s, 1960s, and mid-1970s, was between those, such as C. Wright MILLS, who asserted that there was a power elite--a close-knit, integrated organization of elites at the highest levels of political, economic, and cultural institutions--and those, such as Robert Dahl, who asserted that the organization of elites in American society was pluralistic. According to the latter view, elites were not one single coordinated organization dominating society, but were many groups of diverse origin competing for positions of power and prestige. The so-called pluralists asserted the fulfillment of democratic ideals in practice. Since the mid-1970s, theories on elites again have been concerned with the historic role of the state in guiding modern societies and the participation of various kinds of elite groups in the process of government. Rather than emphasizing the forms and social composition of elite groups and their impact on society, however, current research has focused on the culture, ideologies, life styles, and outlooks of elites. It thus points to more subtle, indirect ways in which elites affect society through their involvements with routine affairs of state and the making of policy. While retaining some of the ideas of Pareto and Mosca, current studies have been influenced more by theories derived from the work of Karl MARX.

George Marcus

Bibliography: Clarke, H.D., and Czudnowski, M.M., eds., Political Elites in Anglo-American Democracies (1987); Marger, M.N., Elites and Masses, 2d ed. (1987); Mills, C. Wright, The Power Elite (1956); Marcus, G. E., Elites: Ethnographic Issues (1983); Standworth, P., and Giddens, A., eds., Elites and Power in British Society (1974).


(da: Grolier Electronic Publishing)

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