Approfondimento: Elite e classe politica
1. Origine e interpretazioni: Mosca, Pareto, Michels - 2. La modernita' del concetto - 3. Le teorie liberali dell'elite - 4. Classe politica
1. elite deriva da eligere "scegliere". Due sono le caratteristiche fondamentali che vengono usualmente associate a questo concetto. Innanzitutto quella del numero: il termine elite identifica sempre un gruppo minoritario all'interno di un piu' vasto aggregato. In secondo luogo l'esistenza di un criterio, o di un insieme di criteri di distinzione in base ai quali questo gruppo minoritario viene identificato rispetto alla maggioranza.
Se e' agevole constatare che delle elite, individuate in base a queste caratteristiche, sono esistite in tutti i sistemi politici, va d'altro canto sottolineato che il concetto acquista rilievo all'interno della scienza della politica tra Otto e Novecento, periodo nel quale compaiono gli studi di quelli che piu' tardi verranno definiti - accomunandoli in una formula non priva di eccessiva semplificazione - gli e'litisti: Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels, solo per indicare i nomi che piu' comunemente vengono ricompresi in questo filone di teoria.
e' importante sgombrare subito il campo da possibili equivoci. Il concetto elite nasce vago, nel senso che spesso in suo luogo vengono impiegati termini diversi, quali, soprattutto, classe dominante e classe politica, o, piu' raramente, oligarchia.
Mosca, che con Pareto puo' essere considerato non solo uno dei piu' accorti studiosi del fenomeno, ma - anche e soprattutto - uno dei massimi teorici e "ideologi" dell'elitismo, preferisce utilizzare, in polemica con Pareto, il termine "classe politica" piuttosto che quello di elite, in quanto "le espressioni elite o aristocrazia implicano un elogio alle classi medesime che veramente esse in molti casi sono ben lungi dal meritare". Mosca, il quale ritiene che a rendere certe classi atte a far parte della classe politica sia il possesso di fatto di "quella forza politica che si trova a essere, in un dato periodo storico, la piu' necessaria", arricchisce il concetto di una caratteristica rilevante: quella della coscienza di appartenenza alla classe politica da parte dei suoi membri. Da qui deriverebbe una coesione interna in grado di rendere il gruppo minoritario meglio attrezzato per la conquista e l'esercizio del potere. In tal modo per Mosca l'intera storia dell'umanita' potrebbe essere vista come un susseguirsi di diverse minoranze organizzate.
Pareto invece fonda la sua teoria sulla cosiddetta "legge della scarsita'": il principale problema con il quale la civilta' ha dovuto confrontarsi nel corso del suo sviluppo e' stato quello dell'ottimizzazione dello sfruttamento e della distribuzione delle risorse scarse. E proprio il governo dei migliori e' quello che ha assicurato, alla prova dei fatti, la piu' efficiente utilizzazione di queste scarse risorse. Secondo questo autore, a un E. che governa si contrappone un'E. che non governa, dove la prima e' distinta dalla seconda in base a due variabili fondamentali: la superiorita' dovuta all'uso della forza e il consenso nei suoi confronti da parte dei governati. Fondamentale e' per Pareto il problema della circolazione delle E., intendendo con questo non solo la questione del ricambio tra le diverse E., ma anche il passaggio di personale tra un'E. e un'altra, e tra la massa e le E.
Michels introduce nell'analisi la variabile organizzativa, ovvero la necessaria tendenza all'organizzazione di qualsiasi aggregato umano, tendenza la quale produce inevitabilmente tanto un processo di gerarchizzazione, quanto un fenomeno di formazione di minoranze all'interno del gruppo, le quali tendono a monopolizzare il potere e a perpetuare il dominio. Michels sembra richiamarsi fondamentalmente al pensiero di Machiavelli e Max Weber, laddove afferma che la massa manifesta la necessita' psicologica di una Leadership forte e stabile, la quale necessita' e' a sua volta all'origine della convinzione che i leaders siano forniti di eccezionali qualita' personali.
2. E' naturale che tutti questi approcci vanno inquadrati all'interno di fenomeni storico-culturali di piu' vasta portata. Il periodo trattato - i cinquant'anni a cavallo del secolo - e' quello nel quale si sta verificando forse la piu' grave crisi di crescenza del sistema politico ed economico figlio della rivoluzione industriale e della Rivoluzione francese. Crisi che portera' allo scatenamento della prima fase (1914-1918) della grande guerra civile europea, e che solo ora sembra avviata a conclusione con il crollo dell'impero esterno sovietico.
E' il periodo nel quale 'lo Stato liberale si trova alle prese con il problema dell'ingresso, il piu' indolore possibile, delle masse all'interno del processo politico.
Di fronte alle enormi difficolta', e agli altrettanto giganteschi errori, con cui questo processo viene condotto, si stagliano sostanzialmente tre tipi di reazioni. Quella di chi tenta una difesa dei "corpi" della societa', rendendosi conto che la democratizzazione comporta non solo un maggior livellamento delle posizioni sociali, ma anche l'azzeramento di tutte le istanze particolaristiche o intermedie (azzeramento inteso come negazione della legittimita' per tali istanze di esercitare direttamente qualsiasi forma di pressione, rappresentanza o potere). e' questa l'area in cui si collocano le diverse dottrine di ispirazione cattolica. C'e' viceversa chi tende ad accelerare il processo in corso, nel tentativo di creare un assetto sociale nel quale individuo e massa siano portatori di un medesimo (piu' che complementare) interesse. e' questo cio' che accomuna le posizioni di Marx, Comte e buona parte dei socialisti utopisti. Ci sono infine coloro che, pur apparendo assumere posizioni di mediazione, tentano in realta' una piu' ardita sintesi tra le categorie e i valori che sono stati posti a fondamento dell'idea di democrazia e di politica dell'Occidente (gia' a partire dal secolo IV a.C.), e il nuovo assetto sociale richiesto dalla sfida posta dall'ingresso delle masse nello Stato liberale. Ed e' in questo senso che sono da interpretare origini e sviluppo delle teorie e'litiste. Come pure e' in tal senso che oggi queste teorie mantengono, ma per piu' di un aspetto riacquistano, un forte valore di attualita'.
Rispetto alla valutazione dell'E., ci troviamo, in questo terzo tipo di risposta, in una posizione non dissimile da quella in cui siamo quando ci chiediamo se Majakovskij fosse - non per la tecnica poetica, ma per la sua concezione del mondo - un rivoluzionario o un reazionario. Proprio perche' il tentativo e' quello di una nuova sintesi tra antico e moderno, le concezioni di E. appaiono molteplici e, a volte, contraddittorie dal punto di vista delle concrete applicazioni delle diverse dottrine e'litiste. Accanto alle posizioni di un Gustave Le Bon o di un Jose' Ortega y Gasset, che contrappongono "l'uomo-massa" "all'uomo-E.", se ne trovano altre piu' sfumate, meno immediatamente politiche e di assai difficile collocazione in un continuum i cui estremi siano considerati il reazionarismo e il progressismo: si pensi alle tesi espresse dal tedesco Ernst Junger, che delinea una figura tipologica - l'anarca, il ribelle - in cui elementi di forte accettazione della modernita' convivono con una ricerca delle radici, psicologiche e valoriali, della cultura europea.
Nell'Europa continentale comunque le teorie dell'E. vengono piegate strumentalmente e utilizzate dalle diverse forme fascisteggianti o piu' semplicemente autoritario-conservatrici che si diffondono un po' ovunque fino agli anni Trenta.
3. Libere da quest'abbraccio soffocante, teorie e concetto sono tenute in vita fino ai nostri giorni soprattutto nelle democrazie anglosassoni. Il che legittima due considerazioni. La prima: le democrazie che piu' si dimostrano capaci di resistere alla bufera totalitaristica e autoritaria che sconvolge il Vecchio Continente sono proprio quelle che presentano delle E. stabili e facilmente individuabili. Questa considerazione e' importante perche' sembra avallare storicamente l'interpretazione che tra stabilita' dei regimi democratici e presenza di forti E. esista un legame necessario. La seconda: e' proprio in queste realta' politico-istituzionali che si intensificano gli studi di gran parte dei "nuovi e'litisti" per dimostrare la non opposizione tra E. e democrazia. In tal senso si muovono le analisi di Robert Dahl e dei "pluralisti".
Dahl formula un concetto di E. basato su una visione particolare della distribuzione delle risorse politiche, che definisce delle "ineguaglianze differenziate". Secondo Dahl le classi dirigenti presenti nelle moderne democrazie sono estremamente pluralistiche e frammentate, e, per di piu', rileva empiricamente che differenti gruppi di E. esercitano la loro influenza nei diversi processi decisionali, in relazione al tipo di issue di volta in volta sul tappeto. Questo fa si' che la netta distinzione tra E. e non-E. venga annullata. La visione dell'autore americano e' assai influenzata da quanto gia' sosteneva Joseph Schumpeter, ovvero che le moderne democrazie siano sostanzialmente sistemi, nei quali viene regolata la competizione fra minoranze organizzate politicamente attive, impegnate in una lotta pacifica per l'ottenimento dei consensi elettorali da parte della maggioranza non organizzata dei politicamente non attivi. Una visione, questa, che richiama per piu' di un aspetto quella di un mercato economico oligopolistico: una visione, soprattutto, che pone la maggioranza come arbitro della competizione tra le diverse minoranze. Ed e' per tale via che si giunge a una rappresentazione della democrazia che incorpora il concetto di E., democrazia intesa cioe' come sistema per il quale il potere di scegliere l'E. che governa e' nelle mani del De'mos.
Su una posizione molto piu' vicina a quella degli e'litisti "classici" si trova invece Charles Wright Mills, lo studioso alla cui teoria si rivolgono piu' immediatamente le critiche di Dahl. Secondo Wright Mills esiste una vera e propria E. del potere, ovvero il gruppo al vertice delle tre istituzioni dominanti nella societa': quella militare, quella politica e quella economico-finanziaria. Questa teoria sembra pero' eccessivamente rigida, e forse un po' vicina alla tautologia per cui "chi ha il potere e' colui che comanda". In effetti e' proprio quando lo si impiega in modo riduzionistico, che il concetto di E. mostra in maniera piu' netta i propri limiti in termini di vaghezza e ambiguita'. Del resto la mera constatazione che nelle moderne democrazie (come in tutti i regimi politici) esistano delle classi dominanti, o comunque delle minoranze che detengono un potere maggiore del resto dei membri della comunita', appare un argomento insufficiente per mettere in dubbio la reale democraticita' delle attuali democrazie liberali. Semmai rafforza le opinioni di de Madariaga e di Lindsay; secondo i quali Leadership e forme democratiche di governo, autorita', competenza e democrazia di massa sono strettamente connesse.
4. Sebbene anche nella nota distinzione weberiana tra il vivere per la politica e della politica sia possibile rinvenire elementi per una definizione di C. politica, e' in realta' solo all'interno dell'elitismo italiano che al concetto e' stata attribuita una precisa e autonoma valenza analitica. Infatti, nonostante le significative differenze tra i loro reciproci contributi teorici, Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels hanno identificato all'interno della struttura sociale uno specifico gruppo organizzato, il cui elemento distintivo e' costituito dall'esercizio delle funzioni politiche attraverso l'impiego autonomo di risorse che gli vengono affidate o di cui esso stesso riesce ad appropriarsi. Secondo la definizione formulata da Gaetano Mosca, che introdusse il termine nelle scienze politico-sociali, C. politica e' infatti "una classe speciale, i cui elementi di formazione, secondo il secolo e il paese, possono variare, e' vero, moltissimo, ma che, in qualunque modo sia composta, sempre forma davanti alla massa dei governati, ai quali s'impone, una sparuta minoranza". A questa classe speciale e' attribuito "tutto cio' che nel governo e' parte dispositiva, esercizio d'autorita', ed implica comando e responsabilita'".
E' tuttavia necessario sottolineare come il termine classe sia utilizzato in una accezione impropria: la classe politica solo in rari casi puo' venire ricondotta a una classe economico-sociale, giacche', risulta invece ricostituita generalmente da una coalizione di classi, o di loro segmenti, oppure di gruppi dalla diversa coesione.
(da: Politica, vocabolario a cura di Lorenzo Ornaghi, Milano, ed. Jaca Book, 1996)
1. elite deriva da eligere "scegliere". Due sono le caratteristiche fondamentali che vengono usualmente associate a questo concetto. Innanzitutto quella del numero: il termine elite identifica sempre un gruppo minoritario all'interno di un piu' vasto aggregato. In secondo luogo l'esistenza di un criterio, o di un insieme di criteri di distinzione in base ai quali questo gruppo minoritario viene identificato rispetto alla maggioranza.
Se e' agevole constatare che delle elite, individuate in base a queste caratteristiche, sono esistite in tutti i sistemi politici, va d'altro canto sottolineato che il concetto acquista rilievo all'interno della scienza della politica tra Otto e Novecento, periodo nel quale compaiono gli studi di quelli che piu' tardi verranno definiti - accomunandoli in una formula non priva di eccessiva semplificazione - gli e'litisti: Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels, solo per indicare i nomi che piu' comunemente vengono ricompresi in questo filone di teoria.
e' importante sgombrare subito il campo da possibili equivoci. Il concetto elite nasce vago, nel senso che spesso in suo luogo vengono impiegati termini diversi, quali, soprattutto, classe dominante e classe politica, o, piu' raramente, oligarchia.
Mosca, che con Pareto puo' essere considerato non solo uno dei piu' accorti studiosi del fenomeno, ma - anche e soprattutto - uno dei massimi teorici e "ideologi" dell'elitismo, preferisce utilizzare, in polemica con Pareto, il termine "classe politica" piuttosto che quello di elite, in quanto "le espressioni elite o aristocrazia implicano un elogio alle classi medesime che veramente esse in molti casi sono ben lungi dal meritare". Mosca, il quale ritiene che a rendere certe classi atte a far parte della classe politica sia il possesso di fatto di "quella forza politica che si trova a essere, in un dato periodo storico, la piu' necessaria", arricchisce il concetto di una caratteristica rilevante: quella della coscienza di appartenenza alla classe politica da parte dei suoi membri. Da qui deriverebbe una coesione interna in grado di rendere il gruppo minoritario meglio attrezzato per la conquista e l'esercizio del potere. In tal modo per Mosca l'intera storia dell'umanita' potrebbe essere vista come un susseguirsi di diverse minoranze organizzate.
Pareto invece fonda la sua teoria sulla cosiddetta "legge della scarsita'": il principale problema con il quale la civilta' ha dovuto confrontarsi nel corso del suo sviluppo e' stato quello dell'ottimizzazione dello sfruttamento e della distribuzione delle risorse scarse. E proprio il governo dei migliori e' quello che ha assicurato, alla prova dei fatti, la piu' efficiente utilizzazione di queste scarse risorse. Secondo questo autore, a un E. che governa si contrappone un'E. che non governa, dove la prima e' distinta dalla seconda in base a due variabili fondamentali: la superiorita' dovuta all'uso della forza e il consenso nei suoi confronti da parte dei governati. Fondamentale e' per Pareto il problema della circolazione delle E., intendendo con questo non solo la questione del ricambio tra le diverse E., ma anche il passaggio di personale tra un'E. e un'altra, e tra la massa e le E.
Michels introduce nell'analisi la variabile organizzativa, ovvero la necessaria tendenza all'organizzazione di qualsiasi aggregato umano, tendenza la quale produce inevitabilmente tanto un processo di gerarchizzazione, quanto un fenomeno di formazione di minoranze all'interno del gruppo, le quali tendono a monopolizzare il potere e a perpetuare il dominio. Michels sembra richiamarsi fondamentalmente al pensiero di Machiavelli e Max Weber, laddove afferma che la massa manifesta la necessita' psicologica di una Leadership forte e stabile, la quale necessita' e' a sua volta all'origine della convinzione che i leaders siano forniti di eccezionali qualita' personali.
2. E' naturale che tutti questi approcci vanno inquadrati all'interno di fenomeni storico-culturali di piu' vasta portata. Il periodo trattato - i cinquant'anni a cavallo del secolo - e' quello nel quale si sta verificando forse la piu' grave crisi di crescenza del sistema politico ed economico figlio della rivoluzione industriale e della Rivoluzione francese. Crisi che portera' allo scatenamento della prima fase (1914-1918) della grande guerra civile europea, e che solo ora sembra avviata a conclusione con il crollo dell'impero esterno sovietico.
E' il periodo nel quale 'lo Stato liberale si trova alle prese con il problema dell'ingresso, il piu' indolore possibile, delle masse all'interno del processo politico.
Di fronte alle enormi difficolta', e agli altrettanto giganteschi errori, con cui questo processo viene condotto, si stagliano sostanzialmente tre tipi di reazioni. Quella di chi tenta una difesa dei "corpi" della societa', rendendosi conto che la democratizzazione comporta non solo un maggior livellamento delle posizioni sociali, ma anche l'azzeramento di tutte le istanze particolaristiche o intermedie (azzeramento inteso come negazione della legittimita' per tali istanze di esercitare direttamente qualsiasi forma di pressione, rappresentanza o potere). e' questa l'area in cui si collocano le diverse dottrine di ispirazione cattolica. C'e' viceversa chi tende ad accelerare il processo in corso, nel tentativo di creare un assetto sociale nel quale individuo e massa siano portatori di un medesimo (piu' che complementare) interesse. e' questo cio' che accomuna le posizioni di Marx, Comte e buona parte dei socialisti utopisti. Ci sono infine coloro che, pur apparendo assumere posizioni di mediazione, tentano in realta' una piu' ardita sintesi tra le categorie e i valori che sono stati posti a fondamento dell'idea di democrazia e di politica dell'Occidente (gia' a partire dal secolo IV a.C.), e il nuovo assetto sociale richiesto dalla sfida posta dall'ingresso delle masse nello Stato liberale. Ed e' in questo senso che sono da interpretare origini e sviluppo delle teorie e'litiste. Come pure e' in tal senso che oggi queste teorie mantengono, ma per piu' di un aspetto riacquistano, un forte valore di attualita'.
Rispetto alla valutazione dell'E., ci troviamo, in questo terzo tipo di risposta, in una posizione non dissimile da quella in cui siamo quando ci chiediamo se Majakovskij fosse - non per la tecnica poetica, ma per la sua concezione del mondo - un rivoluzionario o un reazionario. Proprio perche' il tentativo e' quello di una nuova sintesi tra antico e moderno, le concezioni di E. appaiono molteplici e, a volte, contraddittorie dal punto di vista delle concrete applicazioni delle diverse dottrine e'litiste. Accanto alle posizioni di un Gustave Le Bon o di un Jose' Ortega y Gasset, che contrappongono "l'uomo-massa" "all'uomo-E.", se ne trovano altre piu' sfumate, meno immediatamente politiche e di assai difficile collocazione in un continuum i cui estremi siano considerati il reazionarismo e il progressismo: si pensi alle tesi espresse dal tedesco Ernst Junger, che delinea una figura tipologica - l'anarca, il ribelle - in cui elementi di forte accettazione della modernita' convivono con una ricerca delle radici, psicologiche e valoriali, della cultura europea.
Nell'Europa continentale comunque le teorie dell'E. vengono piegate strumentalmente e utilizzate dalle diverse forme fascisteggianti o piu' semplicemente autoritario-conservatrici che si diffondono un po' ovunque fino agli anni Trenta.
3. Libere da quest'abbraccio soffocante, teorie e concetto sono tenute in vita fino ai nostri giorni soprattutto nelle democrazie anglosassoni. Il che legittima due considerazioni. La prima: le democrazie che piu' si dimostrano capaci di resistere alla bufera totalitaristica e autoritaria che sconvolge il Vecchio Continente sono proprio quelle che presentano delle E. stabili e facilmente individuabili. Questa considerazione e' importante perche' sembra avallare storicamente l'interpretazione che tra stabilita' dei regimi democratici e presenza di forti E. esista un legame necessario. La seconda: e' proprio in queste realta' politico-istituzionali che si intensificano gli studi di gran parte dei "nuovi e'litisti" per dimostrare la non opposizione tra E. e democrazia. In tal senso si muovono le analisi di Robert Dahl e dei "pluralisti".
Dahl formula un concetto di E. basato su una visione particolare della distribuzione delle risorse politiche, che definisce delle "ineguaglianze differenziate". Secondo Dahl le classi dirigenti presenti nelle moderne democrazie sono estremamente pluralistiche e frammentate, e, per di piu', rileva empiricamente che differenti gruppi di E. esercitano la loro influenza nei diversi processi decisionali, in relazione al tipo di issue di volta in volta sul tappeto. Questo fa si' che la netta distinzione tra E. e non-E. venga annullata. La visione dell'autore americano e' assai influenzata da quanto gia' sosteneva Joseph Schumpeter, ovvero che le moderne democrazie siano sostanzialmente sistemi, nei quali viene regolata la competizione fra minoranze organizzate politicamente attive, impegnate in una lotta pacifica per l'ottenimento dei consensi elettorali da parte della maggioranza non organizzata dei politicamente non attivi. Una visione, questa, che richiama per piu' di un aspetto quella di un mercato economico oligopolistico: una visione, soprattutto, che pone la maggioranza come arbitro della competizione tra le diverse minoranze. Ed e' per tale via che si giunge a una rappresentazione della democrazia che incorpora il concetto di E., democrazia intesa cioe' come sistema per il quale il potere di scegliere l'E. che governa e' nelle mani del De'mos.
Su una posizione molto piu' vicina a quella degli e'litisti "classici" si trova invece Charles Wright Mills, lo studioso alla cui teoria si rivolgono piu' immediatamente le critiche di Dahl. Secondo Wright Mills esiste una vera e propria E. del potere, ovvero il gruppo al vertice delle tre istituzioni dominanti nella societa': quella militare, quella politica e quella economico-finanziaria. Questa teoria sembra pero' eccessivamente rigida, e forse un po' vicina alla tautologia per cui "chi ha il potere e' colui che comanda". In effetti e' proprio quando lo si impiega in modo riduzionistico, che il concetto di E. mostra in maniera piu' netta i propri limiti in termini di vaghezza e ambiguita'. Del resto la mera constatazione che nelle moderne democrazie (come in tutti i regimi politici) esistano delle classi dominanti, o comunque delle minoranze che detengono un potere maggiore del resto dei membri della comunita', appare un argomento insufficiente per mettere in dubbio la reale democraticita' delle attuali democrazie liberali. Semmai rafforza le opinioni di de Madariaga e di Lindsay; secondo i quali Leadership e forme democratiche di governo, autorita', competenza e democrazia di massa sono strettamente connesse.
4. Sebbene anche nella nota distinzione weberiana tra il vivere per la politica e della politica sia possibile rinvenire elementi per una definizione di C. politica, e' in realta' solo all'interno dell'elitismo italiano che al concetto e' stata attribuita una precisa e autonoma valenza analitica. Infatti, nonostante le significative differenze tra i loro reciproci contributi teorici, Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels hanno identificato all'interno della struttura sociale uno specifico gruppo organizzato, il cui elemento distintivo e' costituito dall'esercizio delle funzioni politiche attraverso l'impiego autonomo di risorse che gli vengono affidate o di cui esso stesso riesce ad appropriarsi. Secondo la definizione formulata da Gaetano Mosca, che introdusse il termine nelle scienze politico-sociali, C. politica e' infatti "una classe speciale, i cui elementi di formazione, secondo il secolo e il paese, possono variare, e' vero, moltissimo, ma che, in qualunque modo sia composta, sempre forma davanti alla massa dei governati, ai quali s'impone, una sparuta minoranza". A questa classe speciale e' attribuito "tutto cio' che nel governo e' parte dispositiva, esercizio d'autorita', ed implica comando e responsabilita'".
E' tuttavia necessario sottolineare come il termine classe sia utilizzato in una accezione impropria: la classe politica solo in rari casi puo' venire ricondotta a una classe economico-sociale, giacche', risulta invece ricostituita generalmente da una coalizione di classi, o di loro segmenti, oppure di gruppi dalla diversa coesione.
(da: Politica, vocabolario a cura di Lorenzo Ornaghi, Milano, ed. Jaca Book, 1996)
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