La camicia della trisavola di Guido Gozzano
"Quando (il tempo non ricordo!)
cani, gatti, topi a schiera
ben si misero d'accordo
c'era, allora, c'era... c'era...
... un orfano detto Prataiolo, tardo e trasognato, tenuto da tutti per un mentecatto. Prataiolo mendicava di porta in porta ed era accolto benevolmente dalle massaie e dalle fantesche, perche' tagliava il legno, attingeva al pozzo; e quelle lo compensavano con una ciotola di minestra. Ma quando Prataiolo compi' i diciott'anni, il vicinato comincio' ad accoglierlo meno bene ed a rimproverargli il suo ozioso vagabondare.
Tanto che egli decise di lasciare il paese e di mettersi pel mondo alla ventura.
Ando' a salutare la sua sorella di latte, Ciclamina, e questa gli disse:
- Voglio darti una piccola cosa, per mio ricordo. Non sono ricca e non posso fare gran che. Aggiungero' al tuo fardello una logora camicia della mia trisavola, che era negromante.
Prataiolo non pote' nascondere un sorriso di delusione.
- Non sdegnare il mio dono, o Prataiolo. Ti sara' piu' utile che tu non pensi. Ti bastera' distendere la camicia per terra e comandare cio' che vorrai: e cio' che vorrai sara' fatto.
Prataiolo prese il dono, abbraccio' la sorella, e parti'. Verso sera sentiva appetito e trovandosi senza provviste e senza denaro, cominciava ad inquietarsi, perche' aveva ben poca fiducia nella tela miracolosa.
Volle provare, tuttavia; la distese in terra e mormoro':
- Camicia della trisavola, vorrei un pollo arrosto!
Ed ecco disegnarsi a poco a poco l'ombra di un pollo, leggiera dapprima e trasparente, poi piu' densa e concreta, solida e dorata come un pollo naturale. E un profumo delizioso si diffondeva intorno.
Prataiolo non osava toccarlo, temendo un malefizio. Poi si chino', lo palpo', ne strappo' un'ala, la porto' alla bocca.
Era un pollo autentico e squisito. Ordino' allora una torta allo zibibbo, un piatto di pesche, una bottiglia di Cipro.
E tutto si disegnava leggiero, si concretava a poco a poco sulla camicia miracolosa.
Prataiolo mangiava tranquillo, seduto sull'erba, quando vide sulla strada maestra un mendicante che lo fissava muto e supplichevole.
- Posso offrirti, compagno?
Il vecchio non si fece pregare e divise il banchetto con lui.
Ma quando vide la comparsa meravigliosa delle portate, prego' il ragazzo di donargli la tela magica.
- Ti daro' questo mio bastone in compenso.
- E che vuoi che ne faccia?
- Se tu sapessi la virtu' di questo mio bastone, accetteresti con gioia. Contiene mille piccole celle ed ogni cella racchiude un cavaliere armato e un cavallo bardato di tutto punto. Ogni volta che avrai bisogno d'aiuto ti bastera' comandare: " Fuori l'armata!".
Prataiolo aveva sempre sognato d'essere generale e non pote' resistere a quella tentazione: accetto' il cambio e si mise in cammino. Ma dopo poche ore era gia' pentito.
- Ho fame e non ho piu' la mia camicia! A che puo' giovarmi un 'armata quando lo stomaco e' vuoto?
L'appetito cresceva e per distrarsi egli punto' in terra il bastone e comando':
- Fuori l'armata!
Ed ecco un frusci'o dal di dentro, poi aprirsi nel legno tante piccole finestre e da ogni finestra uscir fuori un cosino minuscolo come un'ape; poi crescere in pochi secondi, crescere, formare all'intorno una muraglia di cavalli scalpitanti e di cavalieri armati.
Prataiolo guardava trasognato.
- Che cosa comandate, signor generale?
Egli ebbe un'idea.
- Che mi sia riportata la camicia della trisavola!
L'armata parti' di gran galoppo, sparve all'orizzonte, e poco dopo era di ritorno con la tela miracolosa.
- L'armata rientri in caserma! ...
Prataiolo punto' il bastone in terra. Cavalli e cavalieri presero a rimpicciolire, in pochi secondi ritornarono minuscoli come api, rientrarono nelle cellette che si rinchiusero sul legno senza lasciar traccia.
Prataiolo era felice.
Riprese la via e giunse ad un mulino.
Il mugnaio era sulla soglia e suonava il flauto: la moglie e i suoi nove figli danzavano intorno. Prataiolo senti' che avvicinandosi gli cresceva una voglia irresistibile di muover le gambe; poi fu costretto da una forza ignorata a ballare con gli altri ballerini.
Sentiva intanto la moglie del mugnaio che danzando gridava furibonda al marito:
- Basta! Basta! Uomo senza cuore! Dacci del pane invece che costringerci a ballare!
Poi rivolgendosi a Prataiolo che ballava con loro:
- Vedete? Questo mascalzone di marito, quando lo si prega di sfamarci, prende il suo flauto dannato e ci costringe a ballare!
Il mugnaio, quando gli piacque, smise di suonare e la moglie, i figli, Prataiolo caddero sfiniti dalla ridda vertiginosa. Prataiolo, riprese le forze, distese la camicia della trisavola e comando' un pranzo magnifico. Invito' il mugnaio e la sua famiglia sbigottita a dividere il pasto. Quelli non si fecero pregare, e giunti alle frutta il mugnaio disse:
- Cedimi la camicia ed io ti do il mio flauto.
Prataiolo accetto' il cambio, gia' sicuro di cio' che doveva fare poco dopo. Giunto, infatti, a dieci miglia dal paese, spedi' i mille cavalieri che gli riportarono la tela.
- Ed eccomi ora possessore della camicia, del bastone, del flauto magico... Non posso desiderare di piu'.
Arrivo' verso sera in una citta' e vide grandi annunci a vivi colori. Si accordava la mano della figlia del Re a chi sapeva guarirla della sua insanabile malinconia.
Prataiolo si presento' subito alla Reggia. Il Re dava quella sera un banchetto di gala agli ambasciatori del Gran Sultano, ma, udita la profferta dello sconosciuto, lo fece passare all'istante. Prataiolo entro' nella sala immensa, e fu abbagliato dallo sfolgorio degli ori e delle gemme.
Sedevano a mensa piu' di cinquecento persone, con a capo il Re, la Regina e la Principessa, bella ed assorta, pallida come un giglio.
Prataiolo fece legare da un servo le gambe della Principessa, senza che i commensali se n'avvedessero, poi si rifugio' in un angolo e comincio' le prime note. Ed ecco un agitarsi improvviso fra i commensali, un fremere di gambe e di ginocchia... Poi tutti s'alzano d'improvviso, scostano le sedie, cominciano a ballare guardandosi l'un l'altro, spaventati.
Principi, baroni, ambasciatori panciuti, baronesse pingui e venerabili, servi e coppieri, e financo i veltri, i pavoni, i fagiani farciti nei piatti d'oro, tutti si animarono, cominciarono a ballare la danza irresistibile.
- Basta! Basta! Per pieta'! - gridavano i piu' vecchi e i piu' pingui.
- Avanti! Avanti ancora! - dicevano i piu' giovani, tenendosi per mano.
La Principessa, legata alla sua sedia, tentava anch'essa d'alzarsi e guardava gli altri, e rideva giubilante. Quando piacque a Prataiolo, il suono cesso' e i cinquecento ballerini caddero sfiniti sulle sedie e sui tappeti, le dame senza scarpette e senza parrucca. La Principessa rise per un'ora e quando pote' parlare disse al Re:
- Padre mio, costui mi ha risanata ed io sono la sua sposa.
Il Re acconsenti', ma Prataiolo esitava.
- Ho lasciata al paese la mia sorella di latte, bella come il sole e alla quale devo la mia fortuna; vorrei farvela conoscere.
- Partite, dunque, e portatela fra noi - dissero i commensali.
I mille cavalieri comparvero, occupando la sala immensa, fra lo stupore generale.
- Mi sia portata Ciclamina, la mia piccola sorella -. E l'armata attraverso' la Reggia, le sale, gli scaloni, con gran fragore. Poco dopo era di ritorno con la sorella Ciclamina. La fanciulla fu trovata cosi' bella, che un ambasciatore se ne innamoro' all'istante.
E in uno stesso giorno furono celebrate le doppie nozze.
cani, gatti, topi a schiera
ben si misero d'accordo
c'era, allora, c'era... c'era...
... un orfano detto Prataiolo, tardo e trasognato, tenuto da tutti per un mentecatto. Prataiolo mendicava di porta in porta ed era accolto benevolmente dalle massaie e dalle fantesche, perche' tagliava il legno, attingeva al pozzo; e quelle lo compensavano con una ciotola di minestra. Ma quando Prataiolo compi' i diciott'anni, il vicinato comincio' ad accoglierlo meno bene ed a rimproverargli il suo ozioso vagabondare.
Tanto che egli decise di lasciare il paese e di mettersi pel mondo alla ventura.
Ando' a salutare la sua sorella di latte, Ciclamina, e questa gli disse:
- Voglio darti una piccola cosa, per mio ricordo. Non sono ricca e non posso fare gran che. Aggiungero' al tuo fardello una logora camicia della mia trisavola, che era negromante.
Prataiolo non pote' nascondere un sorriso di delusione.
- Non sdegnare il mio dono, o Prataiolo. Ti sara' piu' utile che tu non pensi. Ti bastera' distendere la camicia per terra e comandare cio' che vorrai: e cio' che vorrai sara' fatto.
Prataiolo prese il dono, abbraccio' la sorella, e parti'. Verso sera sentiva appetito e trovandosi senza provviste e senza denaro, cominciava ad inquietarsi, perche' aveva ben poca fiducia nella tela miracolosa.
Volle provare, tuttavia; la distese in terra e mormoro':
- Camicia della trisavola, vorrei un pollo arrosto!
Ed ecco disegnarsi a poco a poco l'ombra di un pollo, leggiera dapprima e trasparente, poi piu' densa e concreta, solida e dorata come un pollo naturale. E un profumo delizioso si diffondeva intorno.
Prataiolo non osava toccarlo, temendo un malefizio. Poi si chino', lo palpo', ne strappo' un'ala, la porto' alla bocca.
Era un pollo autentico e squisito. Ordino' allora una torta allo zibibbo, un piatto di pesche, una bottiglia di Cipro.
E tutto si disegnava leggiero, si concretava a poco a poco sulla camicia miracolosa.
Prataiolo mangiava tranquillo, seduto sull'erba, quando vide sulla strada maestra un mendicante che lo fissava muto e supplichevole.
- Posso offrirti, compagno?
Il vecchio non si fece pregare e divise il banchetto con lui.
Ma quando vide la comparsa meravigliosa delle portate, prego' il ragazzo di donargli la tela magica.
- Ti daro' questo mio bastone in compenso.
- E che vuoi che ne faccia?
- Se tu sapessi la virtu' di questo mio bastone, accetteresti con gioia. Contiene mille piccole celle ed ogni cella racchiude un cavaliere armato e un cavallo bardato di tutto punto. Ogni volta che avrai bisogno d'aiuto ti bastera' comandare: " Fuori l'armata!".
Prataiolo aveva sempre sognato d'essere generale e non pote' resistere a quella tentazione: accetto' il cambio e si mise in cammino. Ma dopo poche ore era gia' pentito.
- Ho fame e non ho piu' la mia camicia! A che puo' giovarmi un 'armata quando lo stomaco e' vuoto?
L'appetito cresceva e per distrarsi egli punto' in terra il bastone e comando':
- Fuori l'armata!
Ed ecco un frusci'o dal di dentro, poi aprirsi nel legno tante piccole finestre e da ogni finestra uscir fuori un cosino minuscolo come un'ape; poi crescere in pochi secondi, crescere, formare all'intorno una muraglia di cavalli scalpitanti e di cavalieri armati.
Prataiolo guardava trasognato.
- Che cosa comandate, signor generale?
Egli ebbe un'idea.
- Che mi sia riportata la camicia della trisavola!
L'armata parti' di gran galoppo, sparve all'orizzonte, e poco dopo era di ritorno con la tela miracolosa.
- L'armata rientri in caserma! ...
Prataiolo punto' il bastone in terra. Cavalli e cavalieri presero a rimpicciolire, in pochi secondi ritornarono minuscoli come api, rientrarono nelle cellette che si rinchiusero sul legno senza lasciar traccia.
Prataiolo era felice.
Riprese la via e giunse ad un mulino.
Il mugnaio era sulla soglia e suonava il flauto: la moglie e i suoi nove figli danzavano intorno. Prataiolo senti' che avvicinandosi gli cresceva una voglia irresistibile di muover le gambe; poi fu costretto da una forza ignorata a ballare con gli altri ballerini.
Sentiva intanto la moglie del mugnaio che danzando gridava furibonda al marito:
- Basta! Basta! Uomo senza cuore! Dacci del pane invece che costringerci a ballare!
Poi rivolgendosi a Prataiolo che ballava con loro:
- Vedete? Questo mascalzone di marito, quando lo si prega di sfamarci, prende il suo flauto dannato e ci costringe a ballare!
Il mugnaio, quando gli piacque, smise di suonare e la moglie, i figli, Prataiolo caddero sfiniti dalla ridda vertiginosa. Prataiolo, riprese le forze, distese la camicia della trisavola e comando' un pranzo magnifico. Invito' il mugnaio e la sua famiglia sbigottita a dividere il pasto. Quelli non si fecero pregare, e giunti alle frutta il mugnaio disse:
- Cedimi la camicia ed io ti do il mio flauto.
Prataiolo accetto' il cambio, gia' sicuro di cio' che doveva fare poco dopo. Giunto, infatti, a dieci miglia dal paese, spedi' i mille cavalieri che gli riportarono la tela.
- Ed eccomi ora possessore della camicia, del bastone, del flauto magico... Non posso desiderare di piu'.
Arrivo' verso sera in una citta' e vide grandi annunci a vivi colori. Si accordava la mano della figlia del Re a chi sapeva guarirla della sua insanabile malinconia.
Prataiolo si presento' subito alla Reggia. Il Re dava quella sera un banchetto di gala agli ambasciatori del Gran Sultano, ma, udita la profferta dello sconosciuto, lo fece passare all'istante. Prataiolo entro' nella sala immensa, e fu abbagliato dallo sfolgorio degli ori e delle gemme.
Sedevano a mensa piu' di cinquecento persone, con a capo il Re, la Regina e la Principessa, bella ed assorta, pallida come un giglio.
Prataiolo fece legare da un servo le gambe della Principessa, senza che i commensali se n'avvedessero, poi si rifugio' in un angolo e comincio' le prime note. Ed ecco un agitarsi improvviso fra i commensali, un fremere di gambe e di ginocchia... Poi tutti s'alzano d'improvviso, scostano le sedie, cominciano a ballare guardandosi l'un l'altro, spaventati.
Principi, baroni, ambasciatori panciuti, baronesse pingui e venerabili, servi e coppieri, e financo i veltri, i pavoni, i fagiani farciti nei piatti d'oro, tutti si animarono, cominciarono a ballare la danza irresistibile.
- Basta! Basta! Per pieta'! - gridavano i piu' vecchi e i piu' pingui.
- Avanti! Avanti ancora! - dicevano i piu' giovani, tenendosi per mano.
La Principessa, legata alla sua sedia, tentava anch'essa d'alzarsi e guardava gli altri, e rideva giubilante. Quando piacque a Prataiolo, il suono cesso' e i cinquecento ballerini caddero sfiniti sulle sedie e sui tappeti, le dame senza scarpette e senza parrucca. La Principessa rise per un'ora e quando pote' parlare disse al Re:
- Padre mio, costui mi ha risanata ed io sono la sua sposa.
Il Re acconsenti', ma Prataiolo esitava.
- Ho lasciata al paese la mia sorella di latte, bella come il sole e alla quale devo la mia fortuna; vorrei farvela conoscere.
- Partite, dunque, e portatela fra noi - dissero i commensali.
I mille cavalieri comparvero, occupando la sala immensa, fra lo stupore generale.
- Mi sia portata Ciclamina, la mia piccola sorella -. E l'armata attraverso' la Reggia, le sale, gli scaloni, con gran fragore. Poco dopo era di ritorno con la sorella Ciclamina. La fanciulla fu trovata cosi' bella, che un ambasciatore se ne innamoro' all'istante.
E in uno stesso giorno furono celebrate le doppie nozze.
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