Usa, studenti stritolati dai debiti 30 anni per ripagare l' università
Anche Obama ammette: ho appena finito di restituire il prestito d' onore
di Massimo Gaggi
(tratto da Corriere della Sera, 24/08/2007)
Negli Stati Uniti l' industria del credito vive tempi difficili: prima il crollo del mercato dei prestiti «subprime», quelli a più alto rischio, poi la bancarotta di società che erogavano mutui ordinari come l' American Home Mortgage e dei fondi esposti nel settore immobiliare, col conseguente innesco di una crisi che ha ormai dimensioni planetarie. Ma ci sono anche finanziarie che continuano a fare profitti e che non rischiano praticamente nulla: quelle che prestano soldi agli studenti universitari. Hanno un contributo e la garanzia dello Stato e, nonostante ciò, hanno fin qui applicato tassi elevati, approfittando dell' inesperienza dei ragazzi e, spesso, della connivenza delle accademie. Tre settimane fa EduCap, società «non-profit» che è stata tra i pionieri dei prestiti di studio, ha licenziato metà dei dipendenti e ridimensionato la sua attività: non perché ha scoperto un «buco» nel bilancio, ma a causa di un' indagine del governo federale e di una della magistratura, partite dopo un' inchiesta del Washington Post. Nella totale disattenzione del ministero dell' Istruzione, che pure è stato invitato più volte a occuparsi degli abusi in questo campo, c' è voluto un giornale per scoprire che in una società senza fini di lucro ed esentata dal pagamento delle imposte, la presidentessa, Catherine Reynolds, guadagna più di un milione di dollari l' anno, gira a spese della società a bordo di un Gulfstream, un jet privato da 30 milioni di dollari, e ha donato diversi milioni a un' altra organizzazione «non-profit» gestita da suo marito. Quello di EduCap è, probabilmente, un caso-limite, ma negli ultimi mesi è emerso che la rapida crescita dei debiti degli studenti americani è anche il frutto delle politiche estremamente «aggressive» di istituti finanziari che, nati negli anni ' 70 per prestare un servizio ai giovani, sono diventati macchine estremamente redditizie che «spremono» gli studenti anche grazie all' aiuto ricevuto «sottobanco» dalle segreterie degli atenei. In sostanza, le matricole che si consigliavano con gli amministratori dei loro «campus» sul modo migliore per finanziare studi divenuti ormai costosissimi (negli istituti più prestigiosi un anno accademico può costare anche 50 mila dollari, mentre la media nazionale è di 22 mila dollari per le università private e di 6.000 per quelle pubbliche), venivano indotti a non ricorrere ai prestiti diretti del governo, presentati come scarsi e legati a procedure tortuose e incerte: meglio rivolgersi ai privati. Consigli elargiti con tono paterno, ma dimenticando di citare due particolari: che questi istituti applicano tassi d' interesse molto più elevati del 6,8 per cento fissato per i prestiti federali e che pagano profumatamente le università per entrare nelle loro liste dei finanziatori «raccomandati». Quella degli «student loan» è ormai un' industria che vale 85 miliardi di dollari e un bel po' di questi soldi finiscono proprio alle università sotto forma di contributi ai programmi, ai centri sportivi, alle associazioni degli ex alunni e, spesso, anche di generosi doni al personale incaricato di orientare gli studenti. Il pentolone maleodorante è stato scoperchiato qualche mese fa da Andrew Cuomo, figlio dell' ex governatore di New York, Mario, e nuovo procuratore generale dello Stato al posto del «mastino» Eliot Spitzer, lo «sceriffo» di Wall Street divenuto a sua volta governatore. Dopo l' avvio dell' inchiesta che ha fatto emergere abusi di ogni tipo, alcune finanziarie come la Nel net - una società che aveva accordi «preferenziali» con 120 atenei americani tra i quali il Manhattan College, la University of New York e il City College della metropoli - hanno patteggiato la pena. Allertato dalle inchieste della stampa e della magistratura, anche il Congresso si è messo al lavoro. Alla vigilia della pausa estiva, il Senato ha votato una legge che aumenta i sostegni per gli studenti poveri, amplia il volume dei prestiti concessi direttamente dal governo e riduce i contributi pubblici ai finanziamenti erogati dal settore privato. Una misura che in autunno dovrà essere discussa dalla Camera e comunque tardiva: fino a dieci o vent' anni fa, i ragazzi che, senza una famiglia ricca alle spalle, si erano pagati gli studi ricorrendo al credito (oltre che ai limitati sostegni pubblici), si ritrovavano a dover rimborsare, dopo la laurea, 8 o 10 mila dollari al massimo. Un onere sopportabile, al quale molti attribuivano un valore educativo: c' erano famiglie benestanti che spingevano comunque i loro figli a contrarre un piccolo prestito, nel timore che la totale gratuità degli studi li portasse a non impegnarsi abbastanza. In effetti, se in America la competizione inizia già all' università - tolleranza zero tra gli studenti per chi copia e per gli «esami facili» che rischiano di far perdere valore al titolo di studio - è anche perché, una volta conseguita, la laurea va subito messa a frutto per guadagnarsi da vivere, ma anche per rimborsare il prestito. Un meccanismo di mercato considerato dai più virtuoso ma che, come spesso accade in America, tra mancanza di controlli e concorrenza esasperata nel mondo della finanza, si è trasformato in un cappio al collo degli studenti. Milioni di loro, senza nemmeno capire il significato dei documenti che hanno firmato, si sono ritrovati, alla fine del percorso accademico, con un debito di 80 o anche 100 mila dollari che peserà sul loro bilancio familiare per i prossimi trent' anni. Un debito che è frutto degli alti tassi d' interesse, ma anche di un «nuovo corso» del credito nel quale le banche guadagnano anche (e spesso soprattutto) con commissioni e sanzioni. Lo studente non se ne rende conto, ma ogni volta che paga una rata in ritardo o chiede una dilazione perché è in difficoltà, si vede applicare una multa e il suo tasso d' interesse può schizzare fino al 20 per cento, un livello da carte di credito. È un mercato capovolto nel quale il cliente più redditizio (e quindi più ambito della banca) non è quello che rimborsa regolarmente il suo prestito, ma il debitore più inaffidabile. È quello che il procuratore Cuomo chiama il «selvaggio West» del credito. Era sotto gli occhi di tutti da tempo, per chi avesse voluto vedere: Sallie Mae, la società «centauro» (privata ma con una funzione pubblica) specializzata nel finanziamento degli studenti, è da anni una delle società più ricche di Wall Street. La sua redditività stupefacente (negli ultimi 5 anni è stata sempre superiore al 50% del capitale investito) l' ha fatta addirittura finire nel mirino dei fondi di private equity. Ora quello degli studenti superindebitati è divenuto perfino un tema di campagna elettorale. Sulle piazze d' America i candidati alla Casa Bianca chiedono ai giovani notizie dei loro debiti e raccontano le loro avventure studentesche. Obama, ad esempio, parla spesso del suo prestito appena ripagato: «E non sono più un ragazzino...». Tutti promettono nuove leggi, ma il Congresso più di tanto non può fare: il finanziamento pubblico è comunque limitato e le banche, ormai abituate a operare in mercati molto remunerativi, hanno già detto che, se non continueranno a ottenere grossi margini, smetteranno di prestare soldi agli studenti.
di Massimo Gaggi
(tratto da Corriere della Sera, 24/08/2007)
Negli Stati Uniti l' industria del credito vive tempi difficili: prima il crollo del mercato dei prestiti «subprime», quelli a più alto rischio, poi la bancarotta di società che erogavano mutui ordinari come l' American Home Mortgage e dei fondi esposti nel settore immobiliare, col conseguente innesco di una crisi che ha ormai dimensioni planetarie. Ma ci sono anche finanziarie che continuano a fare profitti e che non rischiano praticamente nulla: quelle che prestano soldi agli studenti universitari. Hanno un contributo e la garanzia dello Stato e, nonostante ciò, hanno fin qui applicato tassi elevati, approfittando dell' inesperienza dei ragazzi e, spesso, della connivenza delle accademie. Tre settimane fa EduCap, società «non-profit» che è stata tra i pionieri dei prestiti di studio, ha licenziato metà dei dipendenti e ridimensionato la sua attività: non perché ha scoperto un «buco» nel bilancio, ma a causa di un' indagine del governo federale e di una della magistratura, partite dopo un' inchiesta del Washington Post. Nella totale disattenzione del ministero dell' Istruzione, che pure è stato invitato più volte a occuparsi degli abusi in questo campo, c' è voluto un giornale per scoprire che in una società senza fini di lucro ed esentata dal pagamento delle imposte, la presidentessa, Catherine Reynolds, guadagna più di un milione di dollari l' anno, gira a spese della società a bordo di un Gulfstream, un jet privato da 30 milioni di dollari, e ha donato diversi milioni a un' altra organizzazione «non-profit» gestita da suo marito. Quello di EduCap è, probabilmente, un caso-limite, ma negli ultimi mesi è emerso che la rapida crescita dei debiti degli studenti americani è anche il frutto delle politiche estremamente «aggressive» di istituti finanziari che, nati negli anni ' 70 per prestare un servizio ai giovani, sono diventati macchine estremamente redditizie che «spremono» gli studenti anche grazie all' aiuto ricevuto «sottobanco» dalle segreterie degli atenei. In sostanza, le matricole che si consigliavano con gli amministratori dei loro «campus» sul modo migliore per finanziare studi divenuti ormai costosissimi (negli istituti più prestigiosi un anno accademico può costare anche 50 mila dollari, mentre la media nazionale è di 22 mila dollari per le università private e di 6.000 per quelle pubbliche), venivano indotti a non ricorrere ai prestiti diretti del governo, presentati come scarsi e legati a procedure tortuose e incerte: meglio rivolgersi ai privati. Consigli elargiti con tono paterno, ma dimenticando di citare due particolari: che questi istituti applicano tassi d' interesse molto più elevati del 6,8 per cento fissato per i prestiti federali e che pagano profumatamente le università per entrare nelle loro liste dei finanziatori «raccomandati». Quella degli «student loan» è ormai un' industria che vale 85 miliardi di dollari e un bel po' di questi soldi finiscono proprio alle università sotto forma di contributi ai programmi, ai centri sportivi, alle associazioni degli ex alunni e, spesso, anche di generosi doni al personale incaricato di orientare gli studenti. Il pentolone maleodorante è stato scoperchiato qualche mese fa da Andrew Cuomo, figlio dell' ex governatore di New York, Mario, e nuovo procuratore generale dello Stato al posto del «mastino» Eliot Spitzer, lo «sceriffo» di Wall Street divenuto a sua volta governatore. Dopo l' avvio dell' inchiesta che ha fatto emergere abusi di ogni tipo, alcune finanziarie come la Nel net - una società che aveva accordi «preferenziali» con 120 atenei americani tra i quali il Manhattan College, la University of New York e il City College della metropoli - hanno patteggiato la pena. Allertato dalle inchieste della stampa e della magistratura, anche il Congresso si è messo al lavoro. Alla vigilia della pausa estiva, il Senato ha votato una legge che aumenta i sostegni per gli studenti poveri, amplia il volume dei prestiti concessi direttamente dal governo e riduce i contributi pubblici ai finanziamenti erogati dal settore privato. Una misura che in autunno dovrà essere discussa dalla Camera e comunque tardiva: fino a dieci o vent' anni fa, i ragazzi che, senza una famiglia ricca alle spalle, si erano pagati gli studi ricorrendo al credito (oltre che ai limitati sostegni pubblici), si ritrovavano a dover rimborsare, dopo la laurea, 8 o 10 mila dollari al massimo. Un onere sopportabile, al quale molti attribuivano un valore educativo: c' erano famiglie benestanti che spingevano comunque i loro figli a contrarre un piccolo prestito, nel timore che la totale gratuità degli studi li portasse a non impegnarsi abbastanza. In effetti, se in America la competizione inizia già all' università - tolleranza zero tra gli studenti per chi copia e per gli «esami facili» che rischiano di far perdere valore al titolo di studio - è anche perché, una volta conseguita, la laurea va subito messa a frutto per guadagnarsi da vivere, ma anche per rimborsare il prestito. Un meccanismo di mercato considerato dai più virtuoso ma che, come spesso accade in America, tra mancanza di controlli e concorrenza esasperata nel mondo della finanza, si è trasformato in un cappio al collo degli studenti. Milioni di loro, senza nemmeno capire il significato dei documenti che hanno firmato, si sono ritrovati, alla fine del percorso accademico, con un debito di 80 o anche 100 mila dollari che peserà sul loro bilancio familiare per i prossimi trent' anni. Un debito che è frutto degli alti tassi d' interesse, ma anche di un «nuovo corso» del credito nel quale le banche guadagnano anche (e spesso soprattutto) con commissioni e sanzioni. Lo studente non se ne rende conto, ma ogni volta che paga una rata in ritardo o chiede una dilazione perché è in difficoltà, si vede applicare una multa e il suo tasso d' interesse può schizzare fino al 20 per cento, un livello da carte di credito. È un mercato capovolto nel quale il cliente più redditizio (e quindi più ambito della banca) non è quello che rimborsa regolarmente il suo prestito, ma il debitore più inaffidabile. È quello che il procuratore Cuomo chiama il «selvaggio West» del credito. Era sotto gli occhi di tutti da tempo, per chi avesse voluto vedere: Sallie Mae, la società «centauro» (privata ma con una funzione pubblica) specializzata nel finanziamento degli studenti, è da anni una delle società più ricche di Wall Street. La sua redditività stupefacente (negli ultimi 5 anni è stata sempre superiore al 50% del capitale investito) l' ha fatta addirittura finire nel mirino dei fondi di private equity. Ora quello degli studenti superindebitati è divenuto perfino un tema di campagna elettorale. Sulle piazze d' America i candidati alla Casa Bianca chiedono ai giovani notizie dei loro debiti e raccontano le loro avventure studentesche. Obama, ad esempio, parla spesso del suo prestito appena ripagato: «E non sono più un ragazzino...». Tutti promettono nuove leggi, ma il Congresso più di tanto non può fare: il finanziamento pubblico è comunque limitato e le banche, ormai abituate a operare in mercati molto remunerativi, hanno già detto che, se non continueranno a ottenere grossi margini, smetteranno di prestare soldi agli studenti.
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