1.6.07

A che diavolo serve il settore pubblico?

il manifesto, 25 Maggio 2007

Fabrizio Tonello

Ma devono essere 101 euro o 96? Forse il problema del settore pubblico non sta in quei 5 euro, che non compenseranno gli statali di anni di vacche magre e neppure faranno affondare l'opera di «risanamento» dei conti intrapresa dal governo Prodi l'anno scorso. Il problema sembra piuttosto: «A cosa serve il settore pubblico?» A questa domanda sembra che tutti i ministri del Tesoro, almeno da Amato nel 1987 in poi, abbiano pronta la risposta: «A nulla».
Se non lo pensano, certo agiscono come se avessero introiettato l'idea che l'unica strategia per affrontare il costo della macchina governativa sia quella Starving the Beast come dicono i repubblicani negli Stati uniti. Non potendo «ammazzare» la bestia-governo, la si fa «morire di fame» riducendo, o quanto meno comprimendo, gli stanziamenti al livello minimo fino a ottenere, nel lungo periodo, l'effetto voluto. Grover Norquist, un celebre lobbista antifiscale americano, usa ripetere che lui non vuole eliminare il governo, solo «ridurlo di dimensioni fino a farlo entrare nella mia vasca da bagno» (e lì affogarlo).
Il problema di affamare il governo è che questa mitica entità, più che Palazzo Chigi, Montecitorio, Palazzo Madama e il Quirinale corrisponde in realtà ai servizi da cui dipendiamo per poter condurre una vita normale: le scuole, la polizia, i treni. Tutte cose di cui c'è oggi più richiesta di quanta ce ne fosse vent'anni fa: più sicurezza, più istruzione, più mobilità.
Le organizzazioni che erogano questi beni comuni sono, quasi tutte, labour-intensive, cioè spendono il grosso dei loro stanziamenti per pagare il personale: la «polizia» significa essenzialmente stipendi di poliziotti, così come scuola e università significano sostanzialmente stipendi di insegnanti e le biblioteche stipendi di bibliotecari.
Queste organizzazioni in primo luogo pagano gli affitti e gli stipendi e soltanto poi, con ciò che resta del loro bilancio, assicurano i servizi per i quali sono state istituite. A questa «legge bronzea» non c'è rimedio: non si possono assistere i malati senza infermieri, né fare lezione agli studenti senza persone fisiche che salgano in cattedra. Per di più, l'invenzione della garanzia del posto di lavoro (salvo il licenziamento per veri e propri crimini e non per «semplice» incompetenza professionale) significa che i dipendenti del settore pubblico rimarrebbero in organico anche se le loro organizzazioni non facessero assolutamente nulla.
Questa è ovviamente un'ipotesi estrema ma è invece una verità lapalissiana il fatto che se questi enti non vengono dotati di risorse sufficienti si limitano a «tenere aperta la bottega» in attesa di tempi migliori, fingendo di raccogliere la spazzatura, insegnare le tabelline, prestare i libri agli utenti. Certo, un po' di spazzatura sarà sempre raccolta, un minimo di istruzione sarà impartita, qualche ora di apertura le biblioteche saranno sempre in grado di assicurarla ma si tratta di pura finzione, dell'opera di volonterosi che non possono tollerare l'idea di sprecare la giornata e rubare lo stipendio. Dal punto di vista delle necessità sociali, il problema non è tenere aperte le scuole, è fare in modo che esse insegnino, così come la polizia serve per acchiappare i criminali, non per alleviare il problema della disoccupazione.
Al contrario, da una quindicina d'anni l'unica strategia per affrontare i problemi del settore pubblico italiano è stata quella di garantire i fondi necessari a pagare gli stipendi e tagliare su tutto il resto. Finanziaria dopo finanziaria, i musei hanno avuto giusto i soldi necessari per pagare i custodi, l'università quelli per tenere aperte le aule, i comuni quelli per tenere accesa la luce in municipio. Il risultato è stato che la crescita del fabbisogno pubblico è stata contenuta ma l'utilità sociale di ciascun pezzo del «sistema Italia» è diminuita vistosamente. Quando si parla di «crisi» della scuola o dell'università si ignora un dato molto semplice: sono sempre più macchine celibi, istituzioni che possono riprodursi ma non svolgere le funzioni per le quali erano state originariamente pensate.
Facciamo qualche esempio: in alcune città italiane, come Bologna o Pesaro, esistono biblioteche di pubblica lettura molto efficienti, enormemente frequentate, di grande successo presso la popolazione. Logica vorrebbe che queste biblioteche ricevessero finanziamenti sufficienti per fare ancora meglio ciò che già fanno bene e cioè acquistare libri, film, cd musicali e metterli a disposizione degli utenti. Quando un servizio funziona, se ne ha cura come della pupilla dei propri occhi, o no? Al contrario, la riduzione dei trasferimenti agli enti locali (e la miopia di alcuni assessori) ha fatto sì che gli acquisti di nuovi documenti siano stati ridotti al lumicino, il che significa che la collettività paga per tenere aperti dei servizi la cui qualità diminuisce anno dopo anno.
Università: prendiamo un dipartimento di storia o di filosofia in una grande università del Nord, ben gestita (precisazione utile perché non si dia la colpa all'autonomia degli atenei). Ebbene: i fondi di ricerca per l'anno 2007 ammontano a meno di 1.500 euro per docente di ruolo. Forse nelle facoltà scientifiche le cose andranno un po' meglio, ma tutti i professori delle facoltà umanistiche sono nella stessa situazione e, anche se gli economisti tendono a pensare che la stessa esistenza delle humanities è inutile e ingiustificabile, resta il fatto che lo stipendio lo prendono anche i colleghi di Lettere e Scienze politiche. Forse metterli in grado di fare qualcosa di ciò che il paese potrebbe chiedere all'università (se essa fosse considerata una risorsa e non un parcheggio di adolescenti) sarebbe un'idea innovativa.
Certo, il settore pubblico ospita al suo interno non pochi dipendenti assunti per ragioni clientelari, o comunque poco inclini a sacrificare la famiglia sull'altare dei doveri d'ufficio. Però ne ospita molti di più che invece considerano davvero il loro lavoro come una missione e mandano avanti la baracca anche nelle peggiori condizioni. Dare loro i mezzi di soddisfare le richieste di servizi dei cittadini sarebbe anche un modo per contenere l'impopolarità della politica di cui in questi giorni si parla tanto.

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