17.6.07

Così rinasce l'università per i ricchi

di Pietro Citati

Qualche giorno fa, i giornali hanno pubblicato una notizia: pochissimi giovani d'origine straniera vengono a studiare nelle università italiane; mentre le università inglesi o francesi o tedesche sono sempre più gremite di studenti di origine mediorientale, o orientale, o di altri paesi europei. I giornali offrivano una spiegazione: complicazioni d'ordine burocratico allontanano dall'Italia qualsiasi volonteroso. Non ho ragioni di dubitarne. L'immensa fantasia, che l'Italia possedeva nel quindicesimo e nel sedicesimo secolo, quando Orlando, Astolfo, Rinaldo, Tancredi, Angelica, Clorinda, Armida cavalcavano liberamente nei cieli del racconto, si è trasformata nel secolo scorso nella più tortuosa e avvilente immaginazione burocratica. Per qualche misteriosa ragione, nessuno riesce a sradicare questa flora parassitaria, che continua ogni giorno a rinascere dalle proprie ceneri.

Purtroppo, esiste anche un'altra spiegazione: le università italiane sono pessime, se ne escludiamo qualcuna e la Scuola Normale Superiore di Pisa (che non è, propriamente, un'università). Il disastro è cominciato (molti dicono: continuato) con la Riforma Berlinguer, entrata in vigore sei anni fa. A partire da allora, le leggi ministeriali hanno costretto gli studenti a non studiare, o a studiare il meno possibile, e sopratutto a non leggere libri o solo fascicoletti di poche pagine. Lo Stato italiano ha il perverso piacere di laureare ignoranti e incompetenti.
Il paradosso è che, nelle università italiane, esistono eccellenti professori ed eccellenti studenti, non meno bravi che in qualsiasi paese europeo.
Ogni volta che vado a insegnare o a tenere seminari nelle università italiane, trovo giovani che stanno svegli la notte pur di conoscere tutto su Aristofane, Leopardi o Ricardo. Leggono libri col disinteressato piacere della giovinezza. Cinquant'anni fa, noi avevamo l'ossessione di scoprire il "giusto metodo critico": mentre i ventenni di oggi dimostrano un'agilità mentale, una freschezza di sensazioni, una esattezza di osservazioni, un dono analogico, un'assenza di pregiudizi, che noi non possedevamo. Ma eccellenza di professori e di studenti vengono drammaticamente sconfitti da un sistema che impone di non insegnare e di non studiare.
Vorrei dare una buona notizia, anche se forse prematura: il nuovo Ministro ha deciso di trasformare l'insegnamento universitario, cercando di imporre di nuovo la serietà degli studi. Tutta la Riforma Berlinguer-Moratti va rifondata. Oggi il Ministero incoraggia, attraverso i finanziamenti, quelle università che in tre (o cinque) anni gettano sul mercato del lavoro giovani che non sanno nulla. La laurea specialistica sembra fallita. E non si vede perché la parte migliore dei nostri studenti, coloro che compiono in otto anni il dottorato di ricerca, non possa insegnare nei licei a meno di seguire altri quattro semestri di insegnamento di carattere pedagogico.
Non c'è molto tempo. Se il ministro non interviene subito, l'Italia perderà del tutto la propria classe dirigente: fatto immensamente più grave dello scandalo Parmalat, o dei costi della nostra classe politica, o del problema delle pensioni, o del cattivo funzionamento della burocrazia, o della riforma elettorale. Fra poco non sapremo a chi affidare l'insegnamento nei licei o all'università, o la direzione delle nostre imprese o il governo dell'economia. Intanto, i figli delle famiglie ricche vanno a studiare negli Stati Uniti o in Inghilterra. Così assisteremo (ancora una volta) a questa insensatezza: la Riforma Berlinguer, che pretendeva di essere democratica, farà in modo che tutta la nostra classe dirigente sarà formata da ricchi.

(la Repubblica, 13 aprile 2007)

Etichette: