12.1.07

Università, senza risorse non si va avanti

AprileOnLine.info 12 gennaio 2007

Lettera a Romano Prodi      Le ristrettezze economiche in cui versa l'università italiana -macroscopiche a confronto con la situazione in cui si trovano le università degli altri paesi, non solo economicamente avanzati - hanno sugli sprechi e sugli squilibri un effetto decisamente peggiorativo

Signor Presidente, come Ella certamente sa, tra gli universitari serpeggia una sensazione di smarrimento, a volte orientata verso la delusione più disimpegnata, a volte verso la protesta più sconsiderata, a causa della grande distanza tra le aspettative riposte in questo governo e le concrete azioni che sin qui sono state intraprese. Contemporaneamente, voci autorevoli, ma interessate, promuovono nell'opinione pubblica l'immagine di una università allo sfascio. Non è così, e Lei lo sa bene. L'università italiana ha problemi seri ma non è allo sfascio, e chi lo afferma fa un'opera di grave disinformazione di cui si prende tutta la responsabilità. Piuttosto va riconosciuto che i problemi dell'Università italiana sono comuni alle università europee. Ad esse, il 12 Giugno 2006 Newsweek ha fatto riferimento nei termini seguenti: "From grade schools to universities, Europe's underfunded, antiquated education systems are failing a new generation." Questo va ricordato non per il rituale mal comune mezzo gaudio, ma per evitare il ricorso a spiegazioni e a rimedi idiosincratici, destinati perciò a fallire e ad aumentare il senso di frustrazione o lo stimolo al cinismo.

Noi lavoriamo nell'università e ci crediamo, crediamo che sotto vari aspetti l'Università italiana si stia sviluppando positivamente e che, tenuto conto delle difficoltà generali che sono la scarsità di fondi e l'obsolescenza del sistema, si stia complessivamente muovendo nella direzione giusta, cercando di assumere un ruolo sempre più articolato nella società. Ma senza risorse non si va avanti. Se peraltro in varie sedi, anche governative, è maturata la convinzione che gli investimenti sull'università così come è oggi non siano pienamente produttivi, il dovere del Governo sarebbe quello di renderli tali, non di depotenziare ulteriormente l'intero sistema senza distinguere. Anche a nostro avviso esistono nell'università degli sprechi e degli squilibri che un governo riformatore, insieme alle forze universitarie dedicate e progressiste, dovrebbe impegnarsi da subito a combattere.

Dobbiamo tuttavia notare che le ristrettezze economiche in cui versa l'università italiana -macroscopiche a confronto con la situazione in cui si trovano le università degli altri paesi, non solo economicamente avanzati - hanno sugli sprechi e sugli squilibri un effetto decisamente peggiorativo. E' illusorio pensare, come mostrano di fare alcuni colleghi economisti che hanno goduto di grande ascolto presso alcuni esponenti del nostro governo, che accrescere le ristrettezze porti automaticamente all'assunzione di comportamenti più virtuosi da parte del mondo accademico, grazie al "mercato", che nel caso specifico non esiste perché non esiste mobilità dei fattori. La recente proposta di privatizzare le università trasformando il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) in buoni scuola (voucher) sembra fatta da persona non al corrente di fatti basilari, come il colossale fiasco del progetto americano di voucher, dovuto lì, e a maggior ragione lo sarebbe qui, al fatto che le università e le scuole non sono bond scambiati a Wall Street, ma luoghi fisici complessi ove è necessario recarsi e inserirsi. Tutte le ricerche dimostrano che anche se gli studi universitari fossero gratuiti il numero di studenti disponibili a muoversi sarebbe comunque severamente limitato dalla indisponibilità di adeguate soluzioni abitative per gli studenti stessi.

Solo a Milano il deficit è stato stimato attorno a 20.000 posti, il che rende particolarmente evidente l'esigenza di forti interventi nel settore del diritto allo studio, uno di quelli nei quali è più alto il nostro divario dagli standard internazionali (in questo caso anche europei). All'opposto di quanto viene predicato con ingiustificata sicumera, le ristrettezze generano una serie di ulteriori distorsioni che precludono le possibilità di miglioramento e di razionalizzazione, mentre una ragionevole disponibilità di risorse aggiuntive consentirebbe di indirizzare il sistema e di premiare i comportamenti virtuosi . Non può esservi quindi un "prima" e un "dopo": la politica contro gli squilibri e gli sprechi e quella contro i tagli indiscriminati debbono essere portate avanti congiuntamente.

Quali politiche potrebbero essere avviate fin da ora?
L'istituzione dell'Agenzia per la Valutazione è una scelta che condividiamo pienamente, e auspichiamo che i provvedimenti necessari per consentirle di decollare siano assunti rapidamente. Ma l'esperienza dei Paesi che hanno da tempo in atto strumenti di questo tipo ha mostrato che da quando il sistema viene messo a punto a quando esso è concretamente utilizzabile per orientare le scelte finanziarie passano parecchi anni (almeno 3 o 4); gli atenei non possono certo attendere tanto.

L'immissione, assolutamente necessaria fin dall'inizio del 2007, di risorse aggiuntive rispetto a quelle previste nella Finanziaria, a partire dalla riconsiderazione della situazione con la trimestrale di cassa, dovrebbe pertanto anticipare alcuni criteri premianti, privilegiando le assegnazioni alle Università che, complessivamente ovvero per loro specifiche strutture, presentino documentati progetti di "miglioramento della qualità" (riduzione di costi, maggiore efficacia ed equità connesse a innovazioni e all'uso più efficiente delle risorse); alla valutazione ex ante dovrà seguirne una corrispondente ex post organizzata in modo affidabile e rigoroso.

Citiamo, al proposito, due esempi concreti di incrementi di efficienza che le università potrebbero immediatamente acquisire adottando proprie delibere tese a realizzare nell'ateneo il massimo impegno dei propri docenti, e perciò anche incrementi di entrate e diminuzione di spese.

1) L'università può decidere di incentivare per i docenti a tempo pieno l'attività esterna riferibile all'istituzione, in modo che anche gli atenei ne traggano vantaggio (una improvvida norma sul pubblico impiego ha lasciato agli atenei totale discrezionalità nell'autorizzare per essi attività private, in contrasto con l'idea stessa di docente a tempo pieno). Si noti che, fiscalmente, e' oggi conveniente svolgere attività di ricerca applicata e di consulenza attraverso convenzioni-commesse stipulate con i Dipartimenti di appartenenza. Al riguardo, anche il Governo potrebbe utilmente operare dando a tutte le strutture pubbliche un preciso indirizzo: se e' ritenuta utile la consulenza di un docente universitario, la si affidi sempre tramite l'istituzione e non a titolo personale (ciò deve valere anche per l'affidamento di incarichi pubblici a docenti a tempo definito). A loro volta, le università dovrebbero regolare con più sapienza e flessibilità i prelievi su commesse in conto terzi o altre forme di consulenze, rendendo al contempo meno pesanti le incombenze amministrative per i docenti, ai fini di incentivare i propri membri a promuovere queste commesse e di rendere gli atenei concorrenziali sul mercato della ricerca e della expertise.

2) Senza farsi bloccare da cavillosi quesiti che sono stati sollevati da chi vuole lavorare il meno possibile, l'università può attuare immediatamente (solo pochi atenei hanno finora provveduto) la norma che impone 120 ore di attività didattica "frontale" ai docenti a tempo pieno (80 ai docenti a tempo definito). Spetta alla normativa di Ateneo precisare il concetto di "frontale": può non essere la didattica retorica, cattedra parlante e banchi silenti, burocraticamente intesa, ma quella interattiva, a piccoli gruppi, con laboratori e seminari in cui i docenti lavorano assieme agli studenti, anche con strumenti comunicativi multimediali. Tutte attività verificabili, che possono essere disciplinate, poiché autonomia non è assenza di regole, ma potere di definirle; tali regole potranno eventualmente anche stabilire specifiche incombenze direzionali-organizzative che possano essere considerate sostitutive di parte del carico didattico (attualmente, infatti, gli oneri gestionali spesso gravosi sono assunti prevalentemente, in spirito di servizio, proprio dai docenti anche didatticamente più impegnati). Le spese per contratti di insegnamento possono così diminuire.

Da questi esempi, che potrebbero essere completati da molti altri, riteniamo appaia chiaro che ciò che chiediamo al Presidente del Consiglio, e a tutto il Governo, non e' un generico ampliamento delle risorse.
Vogliamo che le università e i docenti siano messi in condizione non di lavorare meno, ma di lavorare meglio. E' necessaria una scelta selettiva, in termini di qualificazione della spesa, atta a riportare al centro dell'attenzione - come era nel programma elettorale dell'Unione - lo sviluppo del sistema formativo superiore come condizione per lo sviluppo del Paese: se, come auspichiamo, una chiara indicazione in questo senso emergerà dalla riunione dei Ministri dei prossimi giorni 11 e 12 gennaio, avremo tutti un forte stimolo alla prosecuzione del nostro impegno.

Firmatari:
Roberto Antonelli (Roma La Sapienza, Preside Facoltà di Scienze Umane)
Gabriele Anzellotti (Trento, Membro del C. U.N. -Consiglio Universitario Nazionale- , già Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi delle Facoltà di Scienze)
Luciano Benadusi (Roma La Sapienza, Preside Facoltà di Sociologia)
Giliberto Capano (Bologna, Preside Facoltà di Scienze Politiche"Ruffilli")
Giuseppe Catalano (Milano Politecnico, già componente del CNVSU -Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario-)
Alessandro Cavalli (Pavia, Facoltà di Scienze Politiche)
Nino Dazzi (Roma La Sapienza, pro-Rettore dell'Università)
Antonio de Lillo (Milano Bicocca, già Preside Facoltà di Sociologia)
Fulvio Esposito (Camerino, Rettore dell'Università)
Gianni Guastella (Siena, già Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi delle Facoltà di Lettere)
Luciano Guerzoni (Modena-Reggio Emilia, già Sottosegretario al MIUR)
Sergio Lariccia (Roma La Sapienza, Facoltà di Giurisprudenza)
Giunio Luzzatto (Genova, Presidente Nucleo di Valutazione dell'Università di Bologna)
Susanna Mantovani (Milano Bicocca, Preside Facoltà di Scienze della Formazione)
Alberto Martinelli (Milano, già Preside Facoltà di Scienze Politiche)
Guido Martinotti (Milano Bicocca, già Pro-Rettore dell'Università)
Enzo Mingione (Milano Bicocca, Preside Facoltà di Sociologia)
Roberto Moscati (Milano Bicocca, Facoltà di Scienze della Formazione)
Augusto Palombini (C. N. R., ITABC -Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali-)
Giorgio Parisi (Roma La Sapienza, Dipartimento di Fisica)
Dino Pedreschi (Pisa, Dipartimento di Informatica)
Clotilde Pontecorvo (Roma La Sapienza, Facoltà di Psicologia)
Enrico Pugliese (Napoli , Direttore IRPPS -Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali- del C.N.R.)
Dino Rizzi (Venezia, Preside Facoltà di Economia)
Paolo Rossi (Pisa, Membro del C. U.N. -Consiglio Universitario Nazionale-)
Fabio Ruzzier (Trieste, Pro-Rettore dell'Università)
Bianca Maria Tedeschini Lalli (Roma Tre, già Rettore dell'Università)
Cristiano Violani (Roma La Sapienza, Presidente del Nucleo di Valutazione dell'Università)

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