Zagrebelsky: Il crocevia dell'universita'
Gustavo Zagrebelsky
Per quanto le previsioni su argomenti come questi siano sempre un azzardo e si debba essere circospetti (i profeti, e nemmeno i profeti di sventura, non si addicono all'Universita', secondo il monito weberiano), non si puo' non constatare che le prospettive non inducono all'ottimismo.
Osservando dal punto di vista della condizione universitaria, si puo' fare una distinzione fondamentale tra i Paesi che si considerano alla testa dello sviluppo economico, politico, tecnologico e culturale e i Paesi che sembrano rassegnati ad accettare posizioni di retroguardia o di rincalzo, acconciandosi a vivere a rimorchio o d'importazioni.
In questo secondo caso, che purtroppo sembra quello che ci riguarda maggiormente, l'interesse per lo sviluppo dell'Universita' sembra destinato a scemare. In condizioni d'impotenza, quanto al progresso delle scienze, si e' costretti ad affidarsi parassitariamente ai risultati delle ricerche altrui. Quanto al governo della societa', quella che era un tempo la funzione ideologica dell'Universita' e' oggi molto piu' efficacemente e capillarmente svolta con mezzi di omologazione di massa. e' difficile definirla cultura e, infatti, non ha nulla a che vedere con questa, ne e' anzi l'antitesi.
Naturalmente, non ama gli studi, che avverte come nemici potenziali.
D'altra parte, quanto alla funzione professionalizzante, il destino dell'Universita' pare in molti Paesi essere quello di diventare il prolungamento dell'istruzione superiore, per ovviare al generale sprofondamento del livello qualitativo della scolarizzazione, ovvero quello di assumere piu' marcati caratteri di scuola di avviamento professionale.
E anche questa funzione potrebbe esaurirsi in tempi brevi, quando si trovera' piu' conveniente che imprese e pubblica amministrazione, invece che "esternalizzare" i costi della formazione, provvedano direttamente alla qualificazione professionale dei propri dipendenti, senza finanziare strutture terze che comportino costi superiori e risultati incerti. Finora, il valore legale del titolo ha frenato questa tendenza, per esempio nei settori delle pubbliche amministrazioni e delle libere professioni. Ma esso, per l'impiego privato, costituisce spesso piu' un ostacolo che un vantaggio e, in ogni caso, e' oggi contestato in nome della flessibilita' dell'organizzazione universitaria, cioe' della sua autonomia, una carta che la difesa dell'Universita' e della sua funzione non puo' permettersi di trascurare.
Il pericolo, sotto questi aspetti, non e' l'attrazione impropria dell'Universita' nell'ambito di altri poteri ovvero la funzionalizzazione della ricerca ai loro progetti: e' invece puramente e semplicemente l'abbandono, l'oblio. Non verra' abolita ma verra' privata della sua funzione propria. In una parola, perdera' la sua identita' istituzionale; verra' de-istituzionalizzata e trasformata in qualcosa d'altro. Coloro che avvertono il richiamo della vita accademica, cercheranno altrove, come in effetti cercano, la risposta alle loro ambizioni, salvo poi, eventualmente, accorgersi che neppure dall'altra parte dell'Oceano, sia pure per motivi diversi, esiste sempre il paradiso della liberta'.
e' evidente, a questo punto, che la questione universitaria deve considerarsi una questione nazionale.
Essa chiama in causa interessi, consapevolezze e responsabilita' generali, della societa' tutta intera. Si stratta, niente di meno, di guardare in faccia lo scivolamento in atto, verso un "secondo mondo" gregario, che fa perdere, con la propria cultura, anche il rispetto, la considerazione e, alla fine, l'autonomia politica rispetto alle altre nazioni. E questo, in un momento in cui diversi Paesi gia' del "terzo mondo", dopo aver, in un primo momento, inviato i propri ricercatori nelle grandi Universita' di altri Paesi, li richiamano per fondare proprie istituzioni universitarie in grado di accompagnare, con la definizione delle proprie identita' culturali nazionali, lo sviluppo autonomo della ricerca scientifica e tecnologica.
In ultima istanza abbiamo davanti a noi un bivio: da un lato la strada della rassegnazione, dall'altra quello della fiducia.
Questo testo e' la prolusione tenuta dal giurista Gustavo Zagrebelsky in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico all'Universita' di Torino
l'Unita' 10.01.2006
Per quanto le previsioni su argomenti come questi siano sempre un azzardo e si debba essere circospetti (i profeti, e nemmeno i profeti di sventura, non si addicono all'Universita', secondo il monito weberiano), non si puo' non constatare che le prospettive non inducono all'ottimismo.
Osservando dal punto di vista della condizione universitaria, si puo' fare una distinzione fondamentale tra i Paesi che si considerano alla testa dello sviluppo economico, politico, tecnologico e culturale e i Paesi che sembrano rassegnati ad accettare posizioni di retroguardia o di rincalzo, acconciandosi a vivere a rimorchio o d'importazioni.
In questo secondo caso, che purtroppo sembra quello che ci riguarda maggiormente, l'interesse per lo sviluppo dell'Universita' sembra destinato a scemare. In condizioni d'impotenza, quanto al progresso delle scienze, si e' costretti ad affidarsi parassitariamente ai risultati delle ricerche altrui. Quanto al governo della societa', quella che era un tempo la funzione ideologica dell'Universita' e' oggi molto piu' efficacemente e capillarmente svolta con mezzi di omologazione di massa. e' difficile definirla cultura e, infatti, non ha nulla a che vedere con questa, ne e' anzi l'antitesi.
Naturalmente, non ama gli studi, che avverte come nemici potenziali.
D'altra parte, quanto alla funzione professionalizzante, il destino dell'Universita' pare in molti Paesi essere quello di diventare il prolungamento dell'istruzione superiore, per ovviare al generale sprofondamento del livello qualitativo della scolarizzazione, ovvero quello di assumere piu' marcati caratteri di scuola di avviamento professionale.
E anche questa funzione potrebbe esaurirsi in tempi brevi, quando si trovera' piu' conveniente che imprese e pubblica amministrazione, invece che "esternalizzare" i costi della formazione, provvedano direttamente alla qualificazione professionale dei propri dipendenti, senza finanziare strutture terze che comportino costi superiori e risultati incerti. Finora, il valore legale del titolo ha frenato questa tendenza, per esempio nei settori delle pubbliche amministrazioni e delle libere professioni. Ma esso, per l'impiego privato, costituisce spesso piu' un ostacolo che un vantaggio e, in ogni caso, e' oggi contestato in nome della flessibilita' dell'organizzazione universitaria, cioe' della sua autonomia, una carta che la difesa dell'Universita' e della sua funzione non puo' permettersi di trascurare.
Il pericolo, sotto questi aspetti, non e' l'attrazione impropria dell'Universita' nell'ambito di altri poteri ovvero la funzionalizzazione della ricerca ai loro progetti: e' invece puramente e semplicemente l'abbandono, l'oblio. Non verra' abolita ma verra' privata della sua funzione propria. In una parola, perdera' la sua identita' istituzionale; verra' de-istituzionalizzata e trasformata in qualcosa d'altro. Coloro che avvertono il richiamo della vita accademica, cercheranno altrove, come in effetti cercano, la risposta alle loro ambizioni, salvo poi, eventualmente, accorgersi che neppure dall'altra parte dell'Oceano, sia pure per motivi diversi, esiste sempre il paradiso della liberta'.
e' evidente, a questo punto, che la questione universitaria deve considerarsi una questione nazionale.
Essa chiama in causa interessi, consapevolezze e responsabilita' generali, della societa' tutta intera. Si stratta, niente di meno, di guardare in faccia lo scivolamento in atto, verso un "secondo mondo" gregario, che fa perdere, con la propria cultura, anche il rispetto, la considerazione e, alla fine, l'autonomia politica rispetto alle altre nazioni. E questo, in un momento in cui diversi Paesi gia' del "terzo mondo", dopo aver, in un primo momento, inviato i propri ricercatori nelle grandi Universita' di altri Paesi, li richiamano per fondare proprie istituzioni universitarie in grado di accompagnare, con la definizione delle proprie identita' culturali nazionali, lo sviluppo autonomo della ricerca scientifica e tecnologica.
In ultima istanza abbiamo davanti a noi un bivio: da un lato la strada della rassegnazione, dall'altra quello della fiducia.
Questo testo e' la prolusione tenuta dal giurista Gustavo Zagrebelsky in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico all'Universita' di Torino
l'Unita' 10.01.2006
Etichette: politica universitaria
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